Antonietta Caruso rischia quattro anni e otto mesi, poco meno l'agronomo Salvatore Procopio, accusato di aver fatto da tramite. Guai anche per “l’agente provocatore” Antonio Spadafora
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Rischia quattro anni e otto mesi di carcere Antonietta Caruso, la funzionaria di Calabria Verde accusata di aver intascato una mazzetta da ventimila euro per favorire un imprenditore boschivo di San Giovanni in Fiore. Accadeva nel 2017 e, quasi sette anni dopo, per lei è ormai imminente il redde rationem. A Castrovillari, infatti, è di scena un processo che la vede sotto accusa insieme ad altre due persone per il reato di induzione indebita a dare e promettere utilità. Nel corso dell’ultima udienza, il pm Angela Continisio ha chiesto anche la condanna a quattro anni per Salvatore Procopio, agronomo sospettato di aver fatto da tramite tra quella che all’epoca era la responsabile del settore Forestazione dell’azienda e l’imprenditore. Quest’ultimo, Antonio Spadafora, rischia la pena più mite: due anni di detenzione.
Una vicenda in apparenza semplice e di chiara interpretazione, ma che nel tempo si è via via complicata fino ad assumere le dimensioni dell’intrigo giudiziario. Lo dimostra, fra le altre cose, la presenza sul banco degli imputati dello stesso Spadafora. Il 2 ottobre del 2017, infatti, proprio lui consegna alla Caruso quella bustarella che, nelle intenzioni, serve ad accelerare l’iter per fargli ottenere l’assegnazione di un lotto boschivo. Quel giorno, però, le telecamere e i microfoni direzionali piazzati dalla Procura di Castrovillari, all’epoca guidata da Eugenio Facciolla, immortalano tutta la scena, e questa è la classica pistola fumante che da lì a qualche mese porterà all’arresto della funzionaria e di Procopio.
Sembra un caso pacifico di concussione, ma dicevamo: ben presto, l’affare si complica. Nel 2018, infatti, Spadafora viene arrestato nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Stige” insieme al maresciallo dei carabinieri forestale Carmine Greco. Su entrambi grava il sospetto di essere contigui ai clan di Cirò, ma dalle intercettazioni raccolte dalla Dda di Catanzaro, emerge pure un retroscena sinistro sulla presunta tangente versata ad Antonietta Caruso.
A coordinare sul campo quell’indagine, infatti, era proprio Greco, allora stretto collaboratore di Facciolla, che in quell’occasione avrebbe teleguidato pensieri e azioni dell’imprenditore per arrivare a incastrare la funzionaria di Calabria Verde. Una storiaccia che idealmente non porterà bene a nessuno dei protagonisti del caso. Greco e Spadafora, infatti, saranno condannati per reati di mafia, mentre Facciolla subisce un declassamento professionale dal Csm ed è tuttora sotto processo a Salerno per questa e altre presunte magagne emerse sempre da “Stige”.
La posizione della Caruso e degli altri due uomini, invece, si trascina per sette lunghi anni ed è ormai prossima a un epilogo giudiziario. Alla sbarra, dicevamo, c’è anche Spadafora, che dall’undici marzo del 2020, ha dismesso i panni dell’imprenditore concusso – e dunque della vittima - per vestire quelli dell’imputato. La Procura di Castrovillari non ritiene che abbia collaborato alle indagini e, in tal senso, la scelta di impiegarlo come agente provocatore sarebbe da ascrivere esclusivamente al maresciallo Greco. Da qui la richiesta di condanna avanzata anche nei suoi confronti, ma con la formula più tenue prevista dall’articolo 319 quater del Codice penale, circostanza che a differenza dei suoi coimputati, gli permette oggi di confidare nella prescrizione.
Il pasticcio dell’agente provocatore, però, è stata un’ombra che ha continuato ad aleggiare sul processo, udienza dopo udienza. In uno dei filmati, si vede la Caruso piegarsi sul cofano della sua auto e scrivere qualcosa su un foglietto che consegnerà poi a Spadafora. È un passaggio cruciale della sua linea difensiva: lei, infatti, sostiene che quella non fosse una bustarella, ma un prestito legittimo con tanto di ricevuta consegnata al suo creditore. Il punto, però, è che di questo documento non c’è traccia. Se ne fa accenno sempre nelle ormai celebri captazioni, ma non figura agli atti dell’inchiesta.
Ombre insomma, che probabilmente il processo non riuscirà a fugare. Per saperlo, comunque, manca davvero poco. L’udienza di ieri è saltata a causa di un’indisposizione del presidente del collegio, Giusy Ferrucci. L’appuntamento in aula è stato rinviato al prossimo 21 maggio, data in cui discuteranno gli avvocati Giuseppe Magarò (Caruso), Rosamaria Romano e Maria Iaquinta (Procopio) e poi Franz Caruso e Gregorio Viscomi, difensori di Spadafora. A quel punto l’ultima parola spetterà ai giudici.