Fede assoluta nella glicoforina, credibilità totale assegnata ai testimoni d'accusa, ombre funeste su un'imputata descritta come autrice della «fredda pianificazione di un omicidio», nonché donna dalla «personalità incline al delitto» e proveniente da un contesto familiare «deviato da retrogradi principi morali». Sono queste, in estrema sintesi, le motivazioni della sentenza che, lo scorso 2 ottobre, ha condannato in primo grado Isabella Internò a sedici anni di carcere per l'omicidio di Donato Bergamini.
I giudici le hanno depositate con qualche giorno d'anticipo rispetto ai tre mesi richiesti ed è un verdetto che arriva a 35 anni dalla morte dell'allora calciatore del Cosenza e a tre dall'inizio del processo che ha visto la sua ex fidanzata, all'epoca 19enne, salire sul banco degli imputati. Estensore della sentenza è il presidente Paola Lucente che in poco più di 500 pagine ha ripercorso un po' tutti i temi del processo, mostrando di sposare appieno le tesi colpevoliste della Procura di Castrovillari.

Secondo la Corte, è emerso con «certezza scientifica» che, il 18 novembre del 1989, Bergamini fosse già disteso al suolo – morto oppure in fin di vita – prima di essere investito dal camion di Raffaele Pisano. Lo dimostrerebbero gli accertamenti di medicina legale eseguiti nel 2017 dai periti Antonello Crisci e Carmela Buonomo, previa riesumazione della salma e, a tal proposito, i dubbi emersi in aula dalle testimonianze di altri specialisti come il professor Francesco Maria Avato e del “pentito” Pietrantonio Ricci, non hanno intaccato questo convincimento. Del resto, rileva la Lucente, anche Avato concorda sul fatto che al passaggio del camion Bergamini fosse «già disteso sull'asfalto» della Ss 106. Ed è un dettaglio, questo, su cui converge anche il consulente della difesa, Liliana Innamorato.

I testimoni, dicevamo. Al riguardo, la sentenza valorizza i contributi di Roberta Alleati e Tiziana Rota, con la prima che, già sei giorni dopo la tragedia, si presenta come la fidanzata segreta di Bergamini e, in una lettera indirizzata ai familiari del calciatore, racconta dei timori che il loro congiunto le aveva manifestato 48 prima di morire. «Qualcuno a Cosenza mi vuole male» le avrebbe detto Bergamini, riconducendo le sue preoccupazioni alla fine del rapporto sentimentale con la Internò. Vent'anni dopo, questa traccia si amplierà con l'entrata in scena della Rota. La moglie di Maurizio Lucchetti, infatti, riferirà di aver raccolto lo sfogo-confessione di Isabella, circa due settimane prima dei fatti di Roseto. «Se non può essere mio, lo faccio ammazzare, meglio che muoia» le avrebbe detto l'imputata davanti a una pasticceria di Rende. I sospetti avanzati dalla difesa su queste testimonianze, in particolare sulla Alleati, sono stati liquidati come mere «suggestioni».

Quel corpo era già a terra e la Internò aveva un movente. Due considerazioni che combinate tra loro valgono una condanna. Il ragionamento dei giudici, però, è più ampio. L'imputata, è scritto in sentenza riferisce informazioni false quando descrive Bergamini che per porre fine alla propria esistenza si getta sotto al camion «come se facesse un tuffo in piscina». Un dato che, per quanto sentito in aula, i giudici hanno ritenuto «smentito» in modo pacifico. A ciò si aggiungono anche le centinaia di testimonianze di amici, ex compagni di squadra, semplici tifosi, che hanno descritto l'allora centrocampista rossoblù come un ragazzo «solare, allegro, gioviale», lontano dunque da propositi suicidiari.

Anche i punti critici della vicenda sono rintuzzati in chiave colpevolista. Rocco Napoli è l'automobilista che passa da Roseto Capo Spulico pochi minuti prima di Raffaele Pisano e rischia anche lui di investire il calciatore. Per i giudici, «non è provato» che fosse proprio Bergamini la persona che gli si è parata davanti. E poi la testimonianza delle sorelle Barbara e Carmela Dodaro, due amiche che si trovavano con Isabella Internò quando quest'ultima riceve la telefonata del suo ex fidanzato che la convoca per l'appuntamento fatale. Proprio come sostenuto dalla Procura, anche per la Lucente quello è «l'alibi» che la ragazza si era precostituita per allontanare da sé i sospetti.
Tutto viene interpretato in chiave sfavorevole alla Internò. Anche la sua reazione disperata, come documentano i primi testimoni intervenuti sulla scena, è in realtà «il pianto del coccodrillo che si dispera dell'exitus che ha contribuito a determinare, lo sfogo incontrollato di una ragazza che ha determinato la morte della persona da cui era ossessionata a tal punto da volerne la fine».

La ricostruzione della Procura, su cui ora c'è anche il visto di una Corte d'assise, vuole dunque un Bergamini, attirato in quella trappola mortale dalla Internò e poi sopraffatto da altre due persone che, dopo averlo narcotizzato con sostanze volatili e soffocato con un cuscino o un sacchetto di plastica, lo posizionano sull'asfalto per esporlo all'insulto di un mezzo di passaggio e dissimulare così i segni dell'omicidio. Chi sono queste due persone? I giudici ritengono di averne individuato almeno una, tant'è che hanno trasmesso in Procura gli atti che riguardano Roberto Internò, un cugino di Isabella. Prima del processo, tutti gli accertamenti eseguiti sul suo conto erano finiti nella cartella degli atti non utilizzati. Alla fine del dibattimento, l'uomo si ritrova invece nelle vesti di imputato in pectore. A puntare il dito contro di lui, in aula, è stata soprattutto la parte civile.

L'unica concessione alla Internò arriva proprio nelle pagine conclusive. I giudici la descrivono come una 55enne, madre di due figlie, «inserita nel tessuto sociale senza aver commesso più reati». Riconoscono, anche stavolta sulla scia della Procura, che «è una persona molto diversa da allora» e concludono il ragionamento con una considerazione filosofica: «Lo Stato, a 35 anni dai fatti, incarna la Nemesi. Ma la risposta dello Stato non è solo Nemesi. La funzione della pena non è solo retribuzione, è rieducazione del condannato». E così le assegnano sedici anni di carcere. Si tratta solo di una sentenza di primo grado. Se ne riparlerà in Appello.