Un viaggio nei meandri della medicina legale, tra le luci e le ombre di una disciplina controversa che, spesso e volentieri, finisce per dettare legge nelle aule di tribunale. C’è anche questo, soprattutto questo, nella testimonianza che il professor Pierantonio Ricci ha reso oggi sulla scena del processo contro Isabella Internò. Era il consulente di parte della famiglia Bergamini, colui il quale nel 2017 sovrintese alla riesumazione della salma e ai successivi accertamenti eseguiti su di essa per verificare se il calciatore fosse stato ucciso. Sei anni dopo, però, Ricci si è svestito di quei panni. La parte civile, la sua parte, non ha inteso convocarlo nemmeno in aula. Lo hanno fatto invece Angelo Pugliese e Rossana Cribari, i difensori della Internò. E i risultati sono stati quantomeno spiazzanti.

I dubbi del professore

Il professore, infatti, ha affermato a più riprese che l’esame principe eseguito sui resti di Denis, quello che contempla l’utilizzo dell’ormai celebre glicoforina, non offre alcuna certezza scientifica. Solo con quella, ritiene lui, non è possibile certificare, al di là di ogni dubbio, la tesi attorno a cui ruota l’intero processo: e cioè che il 18 novembre del 1989, prima di essere investito da un camion all’altezza di Roseto Capo Spulico, l’allora calciatore rossoblù fosse già morto, soffocato con un cuscino o una busta di plastica e poi adagiato sull’asfalto a coronamento di una messinscena. Gli studi sulla glicoforina, ha evidenziato Ricci, hanno ancora «carattere sperimentale» e sono confinati a pochi gruppi di ricerca in Italia (Ferrara, Roma e Milano tra gli altri). Fin qui, tutti gli esperimenti sono stati eseguiti su corpi freschi, deceduti al più da sei mesi, non su cadaveri riesumati per due volte, la prima cinquanta giorni dopo il decesso e l’altra ventisette anni più tardi. In un caso come quello di Bergamini, dunque, qualsiasi dato, a suo avviso, potrebbe risultare falsato dai fattori putrefattivi o dalla paraffina utilizzata per conservare i reperti. «Non sono il solo a pensarla così» ha affermato Ricci a proposito delle perplessità da lui nutrite sul tema.

L’importanza di celebrare un processo

A turno, Procura e parte civile lo hanno incalzato chiedendogli le ragioni di questa inversione di rotta. Per il diretto interessato, però, non si è trattato di un’abiura. All’epoca, ha spiegato, riteneva che la glicoforina offrisse sufficienti garanzie, ma nel tempo avrebbero dovuto associarsi «altre conferme scientifiche» che invece non sono arrivate. Inoltre, se nel 2017 si era espresso in certi termini, lo ha fatto anche sulla scorta di una convinzione: l’opportunità che «si celebrasse un processo» per chiarire una volta per tutte i termini di questa vicenda. Un concetto che il testimone ha ribadito più volte, tant’è che all’ennesima, il presidente della Corte, Paola Lucente, glielo ha chiesto in modo diretto, quasi brutale: «Ma non è che per far celebrare un processo avete forzato un po’ la mano?». «Assolutamente no» ha risposto Ricci. È solo «di scienza» che si parla.

Anselmo al contrattacco

Anselmo gli ha letto il contenuto di una mail, ha tirato fuori una sua vecchia intervista a un giornale locale di Ferrara, ha citato uno scambio di messaggi tra lui e Donata Bergamini, sorella del calciatore defunto: tutto per dimostrare come in precedenza anche Ricci fosse allineatissimo alla tesi dell’omicidio. E che il suo orientamento attuale, invece, sia determinato da risentimento personale. Prima dell’inizio dell’udienza, inoltre, ha annunciato di aver denunciato l’ormai ex consulente di parte, muovendogli l’accusa di «patrocinio infedele». A udienza in corso, la stessa Donata lo ha attaccato sui social, dedicandogli un post al vetriolo: «Grazie prof Ricci. Ci hai rappresentato e aiutato per arrivare alla verità e alla fine hai venduto Denis perché non hai avuto la ribalta nel processo per il quale non ti abbiamo chiamato perché non vi era necessità». In realtà, nel corso dell’udienza fiume – durata più di cinque ore – il professore ha affermato più volte di condividere ancora oggi i risultati proposti sei anni fa dai consulenti del gip, Antonello Crisci e Carmela Buonomo, che peroravano la tesi omicidiaria. In particolare per la stima da lui nutrita nei confronti del compianto professor Crisci. «Sapevo con quanto impegno aveva lavorato su questo caso».  Tutto e il contrario di tutto, insomma, compreso un retroscena che risale proprio a quei giorni di passione.

«La Buonomo non voleva…»

Com’è noto, dopo la riesumazione, il duo Crisci-Buonomo arriva alla conclusione che Bergamini sia stato ucciso con un’asfissia meccanica, ma in calce alla loro relazione scrivono che a tale ipotesi non è possibile associare «alcuna certezza tecnica». Quella arriverà una settimana più tardi, durante l’incidente probatorio, quando su esplicita domanda del gip Teresa Reggio, sarà la dottoressa Buonomo, anatomopatologa dell’ospedale di Caserta, a spostare il tiro verso «un’alta compatibilità». «Quindi c’è certezza scientifica?» le chiederà ancora il giudice, ottenendo infine il suo «Sì». In origine, però, a sentire Ricci, proprio la Buonomo era scettica sul ricorso a tecniche di immunoistochimica e quindi sull’utilizzo delle glicorofine. «Non le aveva mai usate prima di allora e non credo le abbia più utilizzate in seguito» ha sottolineato, ricordando come all’epoca fosse stato proprio lui, tra gli altri, a convincerla del contrario. «Perché ritenevamo giusto esplorare ogni soluzione possibile».

Quale asfissia?

Tutto e il contrario di tutto. E non solo sul tema anticorpi e dintorni. Anche sulla causa della morte di Bergamini, i giudici avranno di che riflettere. Verso la fine dell’udienza, Ricci si è detto assolutamente certo che il calciatore sia stato «soffocato» e, proprio al fotofinish, la Lucente gli ha chiesto se è possibile che, nel caso di specie, si sia trattato di un’asfissia «da schiacciamento», ovvero determinata dalla pressione esercitata dalla ruota del camion sul corpo del calciatore. L’ex consulente dei Bergamini non lo ha escluso. Se ne riparlerà il 9 gennaio, quando gli aspetti medico-legali della vicenda torneranno a essere nuovamente centrali. Quel giorno, infatti, sarà chiamato a testimoniare in aula il professor Francesco Maria Avato, colui il quale a gennaio del 1990 eseguì la prima autopsia sul cadavere del calciatore. È l’unico ad aver visionato i suoi polmoni ancora quasi integri e all’epoca riscontrò sull’atleta una certa «sofferenza» respiratoria, ma non tale però da averne determinato la morte. Anche lui non figura nella lista dei testimoni di Procura e parte civile, ma solo in quella della difesa.