Pochi giorni dopo la tragedia scrisse una missiva anonima per smentire Isabella Internò sul suicidio del calciatore del Cosenza. Quella che descrive, però, non è la scena di un delitto. Ecco perché il suo racconto potrebbe essere autentico
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I guardoni della Ss 106 jonica. Acquattati nell’ombra, a Roseto Capo Spulico, in un pomeriggio autunnale di tanti anni fa. Pensavano di spiare una coppietta in amore e, invece, assistono a una scena di morte e disperazione. Il 18 novembre 1989, Donato Bergamini e la sua fidanzata Isabella Internò potrebbero non essere stati soli su quella piazzola sterrata. È probabile che con loro ci fossero anche due personaggi così. Dagli atti dell’inchiesta, sepolta sotto migliaia di altri documenti, affiora una lettera scritta una decina di giorni dopo la tragedia da un uomo che, senza rivelare il proprio nome, si presenta come testimone oculare degli ultimi istanti di vita del calciatore del Cosenza. Sostiene di essersi trovato lì «in compagnia di un amico». E la scena che descrive è molto diversa da quella di un omicidio.
Cronaca di un incidente
Nello scritto, rimasto inedito per ben 34 anni, si racconta di una discussione accesa tra i due giovani, con Bergamini che contesta alla Internò un tradimento. A un certo punto, il povero Denis scende dall’auto imprecando contro la ragazza - che nel frattempo piange a dirotto - e va incontro al proprio destino. Pochi secondi ancora, infatti, e sopraggiunge il camion di Pisano che lo investe. Si sarebbe trattato però di una fatalità che l’autore della lettera attribuisce a un momento «di distrazione» dell’autista, quindi non alla volontà del calciatore. «Donato non voleva morire» precisa l’anonimo. E non a caso, quella che racconta sembra proprio la cronaca di un incidente. Guardoni, dunque. Profilo spesso innocuo, a volte letale. All’epoca abbastanza diffuso e oggi quasi del tutto estinto. Quella sera, due di loro erano davvero nascosti nella piazzola fatidica? Numerosi elementi fanno propendere per l'autenticità dello scritto. Non manca l’errore, peraltro macroscopico, perché è destino che in questa faccenda nulla debba mai combaciare alla perfezione. Ne parleremo, ma partiamo prima dagli indizi di segno opposto.
Le coincidenze impossibili
Tanto per cominciare, non si tratta di un documento a favore di Isabella Internò, attualmente sotto processo per omicidio volontario. Tutt’altro, come dimostra la considerazione finale di segno moralista. Il racconto, inoltre, la contraddice proprio sul fulcro della tesi difensiva: il suicidio. Liquidarlo come un tentativo di depistaggio, quindi, sarebbe del tutto illogico. Nel testo si descrive la condotta di Bergamini in quegli istanti fatali – «Iniziò a camminare sul ciglio della strada» - e questo non può essere un particolare estrapolato dalle dichiarazioni di Pisano o della Internò. Nessuno dei due riferisce mai questa circostanza. Ne parleranno in seguito Rocco Napoli e sua moglie Antonietta Valerio, imitati molti anni dopo da Berardino Rinaldi, ma a nove giorni dai fatti, nessun altro poteva sapere che, prima di essere investito, Denis si muoveva pericolosamente sull’asfalto della 106. Se non per averlo visto con i propri occhi.
I tormenti segreti di Denis
Anche i tormenti sentimentali dell’atleta – tema della conversazione descritta nella lettera – erano noti al più ad alcuni compagni di squadra come Padovano, Lombardo e Nocera, all’allenatore Simoni e al papà Domizio, ma del tutto sconosciuti all’opinione pubblica. Nessun accenno sui giornali o in televisione e dal 2012 in poi, l’argomento diventerà un tabù. Questa però è un’altra storia. Ciò che conta è che quando prende carta e penna, il presunto guardone non può essere a conoscenza di particolari così intimi sulla loro relazione. Se non per averli appresi con le proprie orecchie.
E le sue ultime parole
«No, non ti perdono più» avrebbe detto il calciatore a Isabella, ma cos’è che aveva da farsi perdonare la ragazza? È verosimile che quella sera Denis si sia espresso in quei termini? Quindi in passato l’aveva perdonata già altre volte? Un possibile riscontro arriva ancora dallo spogliatoio. Secondo Michele Padovano, infatti, il suo compagno recriminava per la presunta relazione che Isabella aveva avuto con un altro calciatore, Gabriele Baldassarri, sebbene la stessa risalisse a prima del suo arrivo a Cosenza, quando lei era appena quindicenne. Anche tutto questo, il guardone non poteva saperlo. «Quando ne parlava (di Baldassarri, ndr) diventava rosso, quasi paonazzo» dirà sul punto Padovano.
L’aveva avvertita…
Il tema del perdono ritorna poi in un carteggio fra Bergamini e la Internò reso pubblico dai familiari di Denis solo nel 2017. C’è una lettera che il calciatore riceve nell’agosto del 1987 in cui Isabella fa accenno a uno sbaglio commesso proprio all’età di quindici anni e garantisce al suo fidanzato che «roba di quel genere non succederà mai più». Agli atti ce n’è pure una scritta da Denis che sembra una risposta a quella della ragazza. Forse è la brutta copia di un’originale poi spedita. Oppure dopo averla abbozzata, il calciatore ha rinunciato a imbucarla. Fatto sta che in quel frangente, avverte la fidanzatina che non tollererà altri comportamenti a lui sgraditi. «Questa volta non perdono», è il suo monito scolpito in fondo al testo. Va da sé che, a novembre del 1989, nessuno, a parte i diretti interessati, poteva essere a conoscenza del contenuto di questa corrispondenza.
Il “giusto” errore
Arriviamo così alle imprecisioni. Veniale quella del camion scambiato per «autotreno» dato che, nell’immediatezza, il Fiat Iveco di Raffaele Pisano è definito così in quasi tutti i resoconti giornalistici, sia sui quotidiani che in tv. Più grave, invece, è la descrizione dell'automezzo che colpisce Bergamini con «la parte posteriore», laddove invece è certo l'esatto contrario. Basta una parola fuori posto a rendere inattendibile chi scrive? A confinarlo nel recinto, già affollato, dei mitomani che da anni inquinano questa vicenda? L’opzione del refuso – voleva dire una cosa e ha detto l’altra - potrebbe essere valida, ma c’è una terza pista da tenere in considerazione: quella di un errore di valutazione.
Il buio oltre la piazzola
Cosa sia successo davvero in quei due o tre secondi fatali, infatti, neanche Isabella e Pisano sono mai riusciti a spiegarlo con precisione. E vent’anni più tardi, le loro titubanze hanno creato i presupposti per far decollare la tesi della cospirazione. Se invece le cose fossero andate come le descrive il guardone, è indubbio che la morte di Bergamini avrebbe rappresentato per entrambi un evento imprevisto e soprattutto sconvolgente. Peraltro verificatosi nelle peggiori condizioni per loro possibili, sia ambientali che emotive. Del resto, lo stato di quei luoghi, li descrive in modo efficace già nell’immediatezza Andrea Toschi, all’epoca avvocato della famiglia Bergamini. «Non si vede dove si è, dove si mettono i piedi» annota lui stesso all’esito di un sopralluogo eseguito sulla piazzola e nei dintorni. Insomma, quella sera lo shock del momento e l’oscurità circostante potrebbero aver indotto parzialmente in errore un po’ tutti i testimoni, compreso il più indiscreto della compagnia. Che lo abbia tradito la vista, però, è un conto. Che lo abbia fatto pure l’udito, è tutto un altro discorso.
Un momento di distrazione
Quando l’autore riporta ciò che sostiene di aver sentito, lo fa con dei virgolettati, fatto più unico che raro per una lettera anonima. I dubbi, semmai, affiorano quando il tono si fa assertivo. Per logica, è quasi impossibile che dalla sua postazione, defilata e al buio, sia arrivato a cogliere persino il momento di distrazione del camionista. Eppure, proprio quest’ultimo, il 6 dicembre del 1989, racconta qualcosa ad Abbate che suona come una mezza ammissione. Gli dice di aver notato che la Maserati era targata Ferrara, circostanza che lo stupì poiché in quello slargo «di terraccio» era abituato a vedere solo macchine con le targhe di Cosenza e Bari. È possibile che mentre ragionava sui nomi delle città, anche solo per un attimo, abbia distolto gli occhi dalla carreggiata?
Fuori dall’ombra
Pure ammesso che dietro questa storia vi sia anche un piccolo ma fatale calo di attenzione alla guida, non si comprende ancora come abbia fatto ad accorgersene il guardone. A meno che a confidarglielo non sia stato proprio il camionista. Com’è noto, dopo la disgrazia, l'autotrasportatore opera una breve retromarcia perché qualcuno gli dice di aver sentito Bergamini chiedere «aiuto» da sotto il camion. Chi è che glielo dice? Questa persona non è mai stata identificata, è possibile che fosse il nostro guardone? E che lui e Pisano abbiano parlato subito dopo la tragedia? E ancora: i primi a ricevere la segnalazione di un incidente nei pressi del castello di Roseto, sono i carabinieri di Montegiordano. Nulla di strano poiché, per eventuali chiamate d’emergenza, sulla segnaletica verticale della Ss 106 era indicato proprio il numero di quella stazione. È stato sempre lui a fare la telefonata dopo aver abbandonato la scena dell’incidente?
Psicologia di un guardone
A differenza dei mitomani veri, il nostro non lancia accuse, non getta ombre o sospetti. Non si ravvede da parte sua alcun intento diffamatorio né autocelebrativo. Nello stesso fascicolo, manco a dirlo, figura un’altra lettera piena di congetture su droga, calcio scommesse e crimine organizzato che reca la firma di «Un cittadino che vuole giustizia». Nella triste vicenda di Lisa Gabriele - tanto per restare in tema di cold case cosentini - l’input per la riapertura delle indagini la offre la segnalazione, sempre anonima, di un «un poliziotto onesto» in un mondo di corrotti, etc. etc. Ciò a riprova di come i cultori del genere tendano spesso a nobilitare sé stessi. In questo caso, invece, chi scrive non nega di avere avuto finalità deplorevoli - «Abbiamo pensato subito che fosse una coppietta» - ma la prende un po’ alla larga, senza definirsi in modo esplicito per quello che è. Come se a guidare la sua mano non sia la mitomania. Semmai un certo pudore.
Un identikit possibile
La lettera è indirizzata a Santi Trimboli, giornalista che in quei giorni segue il caso con grande attenzione, sia per conto della Rai che del Corriere dello sport. Il cronista la riceve il 29 novembre e lo stesso giorno provvede a consegnarla ad Abbate. È quasi certo che sia stata scritta in un luogo non troppo distante da quello teatro degli eventi. Lo dimostra una correzione operata sulla busta. È ben visibile lo sbaglio commesso nel riportare il codice d’avviamento postale della città di Cosenza, località a cui è destinata la missiva. Lo zero inserito al posto dell’uno rimanda ai Cap assegnati ai centri della costa jonica. Evidentemente sono quelli che il mittente è abituato a maneggiare più spesso. E così è possibile che per un attimo, l’abitudine lo abbia fatto andare in confusione. Chi è quest’uomo misterioso? ?
Tra la ferrovia e il West
Potrebbe trattarsi di uno degli operai allora impegnati in lavori sulla rete ferroviaria sottostante. È molto probabile che alcuni di loro erano all’opera anche quel sabato di novembre. È una pista. L’altra ci porta tra i binari e la piazzola, dove sorgono dei fabbricati di proprietà dell’Anas oggi in stato di abbandono. I due amici erano appostati lì quando hanno visto arrivare Denis e Isabella? E c’è anche una terza ipotesi: a pochi metri di distanza sorge il villaggio turistico “Baia bella”, una serie di villette a schiera all'epoca sorvegliate da un custode. Alcune abitate solo in estate, altre erano incomplete e tali sono rimaste oggi. C’entra qualcosa il residence? Di certo c’è che per quanto buia fosse quella piazzola, è arduo immaginare che in quel momento accogliesse anche un altro veicolo. Alcuni automobilisti in transito subito prima, notano solo la Maserati bianca. La spiegazione, dunque, potrebbe trovarsi lì: tra la ferrovia e il West.
Perché nessuno lo ha mai cercato
Non stupisce che fino a oggi nessuno abbia mai dato peso a questa lettera. Gli scritti anonimi non sono utilizzabili nell’ambito di inchieste giudiziarie, ma possono comunque orientare gli investigatori, suggerire loro quale pista seguire e quale scartare. Nel 1990, all’epoca della prima indagine sulla morte di Bergamini, nessuno si spinge a immaginare che il calciatore sia stato ucciso. La verità, in quegli anni, resta in bilico tra il suicidio e l'omicidio colposo, accusa della quale Pisano sarà chiamato a rispondere in aula. Vent’anni più tardi, quando il caso si riapre sotto la spinta mediatica di internet e delle trasmissioni tv, i nuovi inquirenti rimettono mano alla vicenda e dopo 24 mesi di investigazioni, arrivano alla conclusione che non esiste alcun assassino. Per loro, la lettera dello spione di coppiette - ammesso che l’abbiano presa in considerazione - può aver rappresentato al più un riscontro a ben altre evidenze contrarie alla tesi dell’omicidio. Questo per dire perché, fino a oggi, nessuno si è mai messo in cerca di quel guardone. Trentaquattro anni dopo, però, il discorso cambia in modo radicale.
Le verità in sospeso
Gli ultimi investigatori che si sono cimentati con il caso, pensano che Bergamini sia stato ucciso. E ritengono di averlo appurato con nuove tecniche di medicina legale sperimentate sui suoi resti riesumati nel 2017. Tuttavia, se è vero ciò che racconta il testimone invisibile, allora si sbagliano. La verità sarebbe quella già ipotizzata dalla Procura di Castrovillari nel 1989: un incidente stradale con responsabilità comunque incerte e ormai non più valutabili. E fatto ancora più importante, Isabella Internò non sarebbe affatto un’assassina. La sua unica colpa, semmai, consisterebbe nel non aver detto la verità sull’effettivo tenore della sua ultima conversazione con Denis.
Piccoli segreti di provincia
«La sua preoccupazione principale è quella di non essere additata come responsabile morale del suicidio» scriveva nel 1991 il pretore Mario Mirabile riferendosi a Isabella. E 34 anni dopo, oggi che di anni ne ha 53, la donna potrebbe essere ancora prigioniera di quella bugia raccontata quando ne aveva solo 19, per comune senso del pudore. Dietro al caso Bergamini, dunque, potrebbe esserci solo un segreto di provincia, piccolo e inconfessabile. In questa storia tutti ne hanno uno così da custodire, compreso il guardone della Ss 106. Un fantasma, l’ennesimo, che aleggia sulla triste vicenda di Donato Bergamini. E che a differenza di altri spettri, però, sembra sapere troppe cose. Per non essere vero.