Confermata la sentenza di primo grado. Pena di un anno e 3 mesi per l’ex pm di Mani Pulite che dovrà versare 20mila euro al magistrato Sebastiano Ardita. Parlò dei verbali anche con il senatore calabrese Nicola Morra
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L'ex pm di Mani Pulite ed ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo è stato condannato a un anno e 3 mesi dalla Corte d'Appello di Brescia. Il magistrato, ora in pensione, era accusato di rivelazione del segreto d'ufficio in merito alla vicenda dei verbali di Piero Amara su una presunta Loggia Ungheria. I giudici hanno confermato la sentenza di primo grado.
I giudici bresciani, nel confermare la sentenza dello scorso giugno a 1 anno e 3 mesi con pena sospesa e non menzione, hanno condannato Davigo anche al pagamento di ulteriori spese processuali oltre che al versamento alla parte civile Sebastiano Ardita di 20 mila euro. Le motivazioni saranno depositate in 90 giorni. Al centro della vicenda ci sono i verbali su una inesistente loggia resi da Amara tra dicembre 2019 e gennaio 2020 nell'ambito dell'indagine milanese sul cosiddetto falso complotto Eni, e ricevuti da Davigo nell'aprile successivo dal pm Paolo Storari, in quanto intendeva autotutelarsi di fronte a una presunta inerzia da parte dei vertici del suo ufficio.
Caso Amara | L’ex magistrato Davigo condannato a un anno e tre mesi per rivelazione di segreto d’ufficio sulla presunta loggia Ungheria
Davigo, secondo quanto emerso in aula, parlò del caso al vicepresidente del Csm David Ermini e agli allora procuratore generale e presidente della Cassazione Giovanni Salvi e Pietro Curzio, i tre componenti il comitato di Presidenza di palazzo dei Marescialli. Ad Ermini diede anche una copia dei verbali ma lui si precipitò a distruggerli ritenendoli irricevibili, anche se riferì al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Davigo poi informò del contenuto di quelle carte o le fece vedere ad altri consiglieri del Consiglio Superiore e al presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, il senatore (ai tempi esponente M5S) Nicola Morra. E questo, secondo la ricostruzione, anche per motivare i contrasti insorti con il consigliere e un tempo suo compagno di corrente Sebastiano Ardita, citato da Amara - il quale è ora a processo per calunnia - tra coloro che avrebbero fatto parie della fantomatica associazione segreta.
Pertanto Ardita si è costituito parte civile al processo, lamentando di essere stato danneggiato dalla diffusione di quelle notizie, per giunta false.
Davigo, ha sempre sostenuto, oltre al fatto che per il suo ruolo al Csm non era opponibile il segreto, di aver agito «in buona fede, senz'altro scopo, se non quello di ripristinare la legalità», come è stato ribadito anche in una nota di udienza depositata qualche giorno fa alla Corte d'Appello bresciana dai suoi difensori, Davide Steccanella e Francesco Borasi.