Il Tribunale di Vibo Valentia ha assolto con formula piena il legale rappresentante della società Affitalia Outdoor Srl, difesa in giudizio dall’avvocato Giuseppe Esposito del foro vibonese. La sentenza, nelle sue motivazioni, sancisce un principio importante: la materia delle installazioni pubblicitarie non costituisce reato penale, e ciò, perché non sono reati di tipo edilizio. Le motivazioni della sentenza sono chiare: «(…) l’installazione di cartelloni pubblicitari lungo e a margine delle strade è regolata dall’art. 23 del D.Lgs285/1992. La disciplina di settore (codice della strada e decreto legislativo n.507/93) è una disciplina speciale. Di conseguenza, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore anche il rilascio del permesso a costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio, che risulterebbe sproporzionata perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale, di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio regole e obblighi pianificatori specifici volti a tutelare».

 

«Insomma – afferma il legale - il Tribunale afferma una verità semplice: la materia è già regolata per legge, richiedere anche la licenza edilizia significherebbe raddoppiare l’autorizzazione.

Esattamente quello che hanno fatto in questi anni il comandate della Polizia Municipale di Vibo Valentia, Filippo Nesci e la dirigente di settore Adriana Teti. La sentenza conferma che gli atti compiuti da questi dirigenti erano tutti sbagliati. A questo punto viene naturale chiedersi: chi risarcirà gli imprenditori dei danni subiti a causa  degli errori  di questi dirigenti? Pagheranno di tasca loro, i dirigenti in questione, per i danni cagionati a tutti quegli imprenditori che per lavorare nel settore pubblicitario si sono visti vessati da richieste dichiarate finalmente illegittime? Oggi la Giustizia ha trionfato. Ma ci chiediamo: cosa accade per quelle società che non hanno i mezzi per difendersi in procedimenti amministrativi, ordinari e penali?

Nella discussione tenutasi lo scorso 16 gennaio, il Tribunale ha deciso alla prima udienza, alla luce dell’evidenza del fatto che non ci fossero estremi di reato.

E, d’altronde,  queste conclusioni sono state ribadite dallo stesso Tribunale di Vibo Valentia in occasione di un altro processo per vicende analoghe.

 

Il Tribunale, infatti, nel giugno scorso, aveva assolto 14 imprenditori implicati in una sorta di maxi-processo, un dibattimento, tra l’altro, iniziato nel  2011.

In relazione a quel processo, gli stessi imputati avevano anche dovuto subire nel 2015 una campagna mediatica da parte di alcune testate giornalistiche che invece di interrogarsi nel merito delle procedure adottate dal Comune di Vibo, preferirono concentrarsi sul rischio prescrizione a causa della Giustizia definita “lumaca”.

La nota vicenda del 2011 ha visto coinvolto anche il Gruppo Pubbliemme, azienda leader nel mezzogiorno d’Italia nel settore dell’outdoor e dei media.

 

Da allora il suo presidente Domenico Maduli, non si è mai espresso ma ha sempre impugnato in tutte le sedi competenti gli innumerevoli procedimenti giudiziari avviati contro il suo Gruppo e senza mai commentare neppure le tante sentenze vittoriose ottenute. Sarebbe interessante, oggi, alla luce delle due sentenze che assolvono gli imprenditori con formula piena, conoscere il commento di quei cronisti che preferirono, all’epoca, ma anche recentemente, imbastire una campagna per screditare quegli imprenditori.  La verità viene sempre a galla, come ci ricorda Shakespeare e alla fine anche gli attacchi più duri, se infondati, finiscono per essere smentiti.

La verità è una delle regole fondamentali del tempo. Il Comune di Vibo Valentia rischia di trovarsi coinvolto in diverse azioni legali, alcune richieste risarcitorie sono già in corso ma altri contenziosi contro la classe dirigente e la Pubblica Amministrazione potrebbero aprirsi per i provvedimenti illegittimi adottati in questi anni».