Amministrazione giudiziaria per sei mesi per la Caronte&Tourist. È questo il provvedimento emesso dal Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, nei confronti di una delle più grandi aziende di Calabria e Sicilia, resosi necessario poiché è stata accertata l’agevolazione di interessi di soggetti riferibili a cosche di ‘Ndrangheta egemoni nel territorio di Villa San Giovanni, e segnatamente della cosca Buda-Imerti. L’infiltrazione si è concretizzata nel settore della ristorazione, della disinfestazione e della pulizia. 

Fulcro degli accertamenti effettuati dalla Dia, diretta da Maurizio Vallone, è la figura di Massimo Buda, ritenuto personaggio chiave in diretto collegamento con la cosca Buda-Imerti.  

Un aspetto preliminare, però, è da chiarire: non si parla di un controllo della società Caronte&Tourist, da parte della ‘Ndrangheta, ma dell’agevolazione di interessi che fanno capo a soggetti ritenuti pericolosi socialmente. «La misura applicata presuppone che il titolare dell’azienda sia terzo rispetto ai soggetti pericolosi. Laddove vi fosse stata una immedesimazione, diversa sarebbe stata la misura. Non è, dunque, un sequestro finalizzato alla confisca, ma un’amministrazione giudiziaria di una società, decisa per bonificare interessi e agevolazioni su cui si cercherà di intervenire», spiega il procuratore di Reggio Calabria.  

L’inchiesta della Dda 

Le indagini, portate avanti dalla Dda reggina, sotto il coordinamento del procuratore capo Giovanni Bombardieri, dei procuratori aggiunti Paci e Lombardo, nonché dei sostituti Musolino e Ignazitto, hanno documento, dunque, come vi fossero delle società – riconducibili a personaggi in odore di ‘Ndrangheta – in grado di infiltrare la società di navigazione dello Stretto. «L’attività posta in essere rappresenta una forma di supporto e controllo – spiega Bombardieri – che permette alle aziende, che non risultano essere riferite a realtà di criminalità organizzata – di potersi bonificare da quelle infiltrazioni e agevolazioni di soggetti pericolosi, riferibili alla ‘Ndrangheta».  

Bombardieri ricorda come «già della società Caronte, quella originaria, se ne parla in una serie di processi, ne riferiscono i collaboratori di giustizia. La vecchia proprietà Matacena era ritenuta in collegamento con importanti realtà criminali reggine e villesi». Il procuratore porta l’esempio di Domenico Passalacqua, dipendente della Caronte, con un rapporto che non è stato mai sospeso né interrotto neppure durante la sua carcerazione.  

La figura di Massimo Buda 

Ma vi è un altro personaggio che, dalle indagini, è emerso essere assurto a vero e proprio perno della società di navigazione. Si tratta di Massimo Buda. «Questi è il figlio di Santo Buda e – spiega Bombardieri – pur non essendo mai stato condannato, è risultato essere in collegamento con altri esponenti di cosche come Pasquale Bertuca». Dagli accertamenti è risultato che Buda, come riferito dal colonnello della Dida, Chiappetta – avrebbe avuto una sproporzione evidente fra i redditi dichiarati ed il tenore di vita, con acquisti di fabbricati e terreni.

«Tali investimenti – spiega Chiappetta – sono frutto del reimpiego di proventi illeciti». Ma non solo. È il procuratore Paci a spiegare come Buda fosse il vero “problem solver” della Caronte. «Tutti si rivolgevano a lui per risolvere qualsiasi cosa: dal dipendente riottoso con le decisioni del management, fino ai camionisti che volevano trattamenti di favore. Era il vero riferimento della ‘Ndrangheta all’interno della società. E proprio nei confronti di Buda che vi è stato il sequestro di beni pari a 800mila euro.  

Un patto di non belligeranza e gli esponenti istituzionali 

Come ricostruito dal procuratore Bombardieri, talmente evidente era l’interesse della cosca Buda-Imerti su Caronte&Tourist, che anche l’altra cosca egemone a Villa, quella dei Bertuca, sapeva di doversi rivolgere a loro per ottenere assunzioni o altro. Non ci sono riferimenti a personaggi politici, ma emerge come all’interno del CdA di Caronte vi fosse la presenza di un soggetto istituzionale, l’ex questore di Reggio Calabria, Santi Giuffrè, che però avrebbe avuto solo un ruolo formale.

Lo spiega il procuratore Bombardieri, quando ricorda un’intercettazione nella quale si discute di ciò che avrebbe dovuto fare. E la risposta è “Nulla”. Insomma, non vi sarebbe stata una vera volontà di rinnovamento, di pulizia. «Vi sono una serie di strumenti finalizzati a prevenire il pericolo di infiltrazione che però – rimarca il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – rimangono inefficaci. Si fa riferimento a protocolli di legalità, modelli organizzativi. Si assiste ad una complessiva strumentalizzazione dell’impresa alla ‘Ndrangheta».