Ci sono i contatti con alcune delle famiglie più importanti del panorama criminale dei tre mandamenti reggini, ci sono il sostegno elettorale e i voti (tanti) che dalle famiglie di ‘ndrangheta andavano ad ingrossare il suo bacino elettorale, ci sono i rapporti clientelari intessuti sulla pelle delle compartecipate della città: le motivazioni dell’assoluzione di Antonio Caridi (ex senatore, già assessore comunale a Reggio prima e in Regione poi a seguito di Peppe Scopelliti) che sottolineano l’estraneità dello stesso Caridi alle consorterie criminali, rappresentano comunque un affresco amaro del vuoto desolante della politica calabrese, che pur senza stringere accordi, continua a bussare alla porta dei boss.

Assolto dall’accusa di essere parte della “riservata” della ‘ndrangheta perché, scrivono i giudici nelle quasi 8000 pagine di motivazioni emesse per la sentenza Ghota, non si è arrivati al «raggiungimento della prova sia in ordine all’esistenza di accordi di scambio preelettorali con le articolazioni mafiose, sia in ordine all’esistenza di prestazioni anche solo episodiche da parte del Caridi in favore delle singole organizzazioni criminali» Caridi viene comunque descritto dai giudici del Tribunale reggino, come «politico spregiudicato che in occasione delle competizioni elettorali non disdegnava di coltivare rapporti e frequentazioni con soggetti delle più importanti consorterie  criminali per chiare finalità elettorali».

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I De Stefano, i Libri, i Pelle, i Maviglia: Caridi, annotano i giudici, «coltivava rapporti con soggetti che appartenevano alle predette famiglie criminali, le quali si cimentavano nella campagna elettorale per il procacciamento dei voti in occasione delle varie competizioni elettorali, plaudendo al buon esito». Un comportamento descritto da molti collaboratori di giustizia e certificato dal monumentale processo che, in primo grado, ha portato a 15 condanne e altrettante assoluzioni. Un comportamento su cui però «in nessuna delle conversazioni passate al vaglio dal giudicante è mai emerso un accordo di scambio politico mafioso, né il ricorso al Caridi per trarre utili in favore delle consorterie o degli accoliti e l’impegno del politico in tale direzione».

I primi contatti tra l’ex politico centrista e il crimine organizzano venuti fuori nel processo risalirebbero all’inizio degli anni 2000. A parlarne è il collaboratore di giustizia Antonino Fiume, che associa l’ex assessore regionale alle attività produttive alla potentissima famiglia dei De Stefano: « è dimostrato – scrivono i giudici – in riscontro alle dichiarazioni rese da Fiume, che nelle competizioni elettorali svolte fino al marzo 2002 il Caridi ha avuto il sostegno elettorale dei De Stefano, e specificatamente dal gruppo della famiglia facente capo a Chirico Franco e Orazio De Stefano. Che il Caridi fosse appoggiato da una parte dei De Stefano in quegli anni non era pertanto un mistero». Incassato il sostegno elettorale però Caridi non sarebbe stato ai patti, tanto che nella successiva tornata per le Europee del 2004, lo stesso Franco Chirico «diceva che il Caridi lo aveva deluso, al punto da definirlo politicante, poiché non lo aveva accontentato in nessuna delle sue pretese, né per la sua progressione di carriera, né per le sue richieste di assunzione nei confronti di quattro soggetti da lui indicati all’interno della società per la raccolta dei rifiuti».

E se in città, una parte dei voti sarebbe arrivata dai boss di Archi, in provincia, a sostenere elettoralmente Caridi ci sarebbero stati anche i Pelle di San Luca: «il Caridi si era mostrato certamente disponibile alla consorteria che non aveva disdegnato di frequentare attraverso rapporti con i suoi vari componenti, ed aveva certamente ricevuto il sostegno elettorale dei Pelle». Un sostegno che comunque i Pelle non avrebbero veicolato in modo esclusivo all’ex Senatore che, in occasione delle Regionali del 2010, avrebbero sostenuto anche «Iaria, Cherubino e Nucera Pierino». E se anche in quest’occasione i contatti tra Caridi e i Pelle siano stati riscontrati in sede di dibattimento (molti di questi contatti erano comunque legati a visite mediche) «il tenore delle conversazioni captate subito all’esito delle consultazioni elettorali del 2010 conduce ad escludere che tra il candidato e la famiglia criminale fosse stato concluso un accordo preelettorale».