VIDEO | La Direzione investigativa antimafia fotografa una mafia «silente ma più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale». Clan padroni del traffico di droga e capaci di «intercettare forme di sostentamento pubblico» (ASCOLTA L'AUDIO)
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Capillari nella concentrazione sul territorio, asfissianti con le attività economiche, in pace tra di loro fin quando gli interessi non confliggono. I clan di ‘ndrangheta sono grandi protagonisti anche della relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia del 2021. L’approfondimento sul fenomeno mafioso calabrese occupa nel documento della Dia uno spazio ampissimo e ricco di riferimenti investigativi, processuali e storici.
L’immagine che ne viene fuori della ‘ndrangheta è quella già emersa nel corso degli ultimi decenni: i clan sono riusciti a esportare il modello della casa madre fuori dai confini regionali per replicarlo nel resto delle regioni ricche del nord e del centro Italia e di alcuni Paesi europei. Oltre a confermarsi regista del traffico internazionale di droga.
La vocazione affaristico-imprenditoriale dei clan
«Gli esiti delle più rilevanti inchieste concluse nel semestre – scrivono gli investigatori della Dia nella relazione - restituiscono ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta silente ma più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, nonché costantemente leader nel narcotraffico. In un contesto socio-economico segnato trasversalmente dagli effetti della pandemia da Covid-19 le cosche calabresi continuano a presentarsi quale potenziale minaccia su larga scala ai tentativi di ripresa. In passato infatti hanno dimostrato di saper intercettare opportunità e di approfittare delle criticità ambientali per trarne vantaggio perseguendo una logica di massimizzazione dei profitti e orientando gli investimenti verso ambiti economici in forte sofferenza finanziaria».
Modello di economia criminale
Persiste, quindi, secondo la Dia la preoccupazione legata ad un modello collaudato che vede la criminalità organizzata calabrese proporsi ad imprenditori in crisi di liquidità offrendo forme di «sostegno finanziarie parallele e prospettando la salvaguardia della continuità aziendale con l’obiettivo, invero, di subentrarne negli asset proprietari e nelle governance. Tutto ciò al duplice scopo di riciclare le proprie risorse economiche di provenienza illecita e di impadronirsi di ampie fette di mercato inquinando l’economia legale».
Un modello che potremmo definire “economico-criminale”, tra l’altro, già sperimentato in Calabria e provato da decine di inchieste che hanno coinvolto le più importanti cosche calabresi, soprattutto della provincia di Reggio Calabria.
Pericolo di infiltrazioni nei fondi del Pnrr
«Si deve poi tener conto della consolidata capacità delle consorterie criminali calabresi di intercettare le forme di sostentamento pubblico anche in considerazione delle misure ad oggi già previste o che sono in via di adozione. Tra queste ultime e prime fra tutte le risorse da impiegarsi nell’ambito del NextGeneration UE al quale sarà data attuazione in Italia per mezzo del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. La minaccia in tal senso è rappresentata dalla comprovata abilità dei sodalizi calabresi di avvicinare e infiltrare quell’area area grigia che annovera al suo interno professionisti compiacenti e pubblici dipendenti infedeli in grado di consentire l’inquinamento del settore degli appalti e nei più ampi gangli gestionali della cosa pubblica».
‘Ndrine e sanità
Se si parla di settore pubblico dove la ‘ndrangheta è riuscita a infiltrarsi con facilità non si può non menzionare la sanità, dove «già nel tempo – si legge nella relazione - sono emerse significative criticità l’emergenza pandemica ne ha evidenziato ancor più la vulnerabilità come dimostrato a titolo esemplificativo dagli esiti di una serie di operazioni di polizia recentemente concluse».
Modello vincente da esportare
Secondo gli investigatori della Dia, come detto, anche al di fuori dei territori di origine la ‘ndrangheta esprimerebbe la sua rilevante capacità imprenditoriale grazie peraltro al narcotraffico che ne determina l’accrescimento delle ingenti risorse economiche a disposizione: «I sodalizi calabresi, infatti si pongono quali interlocutori privilegiati con le più qualificate organizzazioni sudamericane garantendo una sempre più solida affidabilità».
I gruppi criminali calabresi hanno da tempo dimostrato di essere straordinariamente abili nell’adattarsi «ai diversi contesti territoriali e sociali prediligendo, specialmente al di fuori dai confini nazionali, strategie di sommersione in linea con il progresso e la globalizzazione. Fuori Regione, quindi, oltre ad insidiare le realtà economico-imprenditoriali le cosche tentano di replicare i modelli mafiosi originari facendo leva sui valori identitari posti alla base delle strutture ‘ndranghetiste. La mappa che segue è rappresentativa dei locali di ‘ndrangheta emersi nel Nord Italia nel corso degli anni in attività giudiziarie ed è emblematica della forza espansionistica delle cosche e della loro vocazione a replicare fuori delle aree di origine lo schema tipico delle organizzazioni calabresi. In totale le indagini hanno consentito di individuare 46 locali, di cui 25 in Lombardia, 16 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige».
Padroni del traffico di droga
Molte risultanze investigative nel semestre passato hanno confermato la centralità dello scalo portuali di Gioia Tauro per l’approdo di stupefacenti, ma anche la necessità delle cosche davanti ai maggiori controlli a dirottare parte dei traffici anche negli scali di Genova, La Spezia, Vado Ligure e Livorno.
Il pentitismo
Unico dato in controtendenza rispetto al passato e quello del cosiddetto pentitismo. Il fenomeno mafioso calabrese imperniato su quella forte connotazione familiare, che l’ha reso fino al recente passato quasi del tutto immune dal fenomeno della collaborazione con la magistratura, «non può oggi essere analizzato senza tener conto del pressoché inedito impatto determinato dall’avvento nei contesti giudiziari di un numero sempre crescente di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia».