Il  terribile terremoto che ha investito la Turchia e la Siria ha destato molta preoccupazione anche in Calabria. La nostra regione è un territorio a elevato rischio sismico e la paura di una catastrofe naturale turba il sonno non solo degli esperti, ma anche di tantissimi cittadini. Nella giornata di ieri è stata diramata un’allerta tsunami anche nella nostra regione, ma la Calabria è pronta a fronteggiare un evento distruttivo di tale portata? Ne abbiamo parlato con Giulio Iovine, presidente dell’ordine dei geologi della Calabria e ricercatore scientifico del Cnr-Irpi di Cosenza.

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Professore, ci può spiegare cosa è successo dopo il terremoto in Turchia?

Il terremoto che, alle 2:17 (ora italiana) della notte tra il 5 e il 6 febbraio, ha colpito l’area al confine tra Turchia e Siria si è originato a circa 20 km di profondità, lungo la cosiddetta “faglia anatolica orientale”. La sua Magnitudo è stata stimata dall’Ingv intorno a 7.8 gradi – per intenderci, quasi un grado in più del sisma che colpì l’Irpinia nel novembre del 1980. L’energia liberata è quindi di oltre 30 volte maggiore rispetto alla bomba atomica Little Boy che fu utilizzata dagli Usa per colpire Hiroshima al termine della Seconda Guerra Mondiale. Gli effetti devastanti in superficie dipendono sia dall’elevata energia del sisma, sia dalla modesta profondità del suo ipocentro, sia dalla durata, a parte gli aspetti legati all’uso del suolo. Questi ultimi dipendono da qualità e densità dei manufatti, e offrono ai terremoti la possibilità di operare distruzione e mietere vittime. Nel caso specifico, oltre alla distruzione totale di edifici e infrastrutture, si contano migliaia di morti.

Perché l'Anatolia si è spostata di 3 metri?

Il terremoto si è originato proprio a causa dello spostamento relativo di masse rocciose in corrispondenza della faglia anatolica orientale. Si tratta di una vasta fascia di fratturazione della litosfera che si sviluppa per centinaia di chilometri al confine sud-est della placca anatolica, separandola dalla placca araba. In occasione del sisma, il movimento tra le placche è stato prevalentemente orizzontale, con spostamento del blocco anatolico di circa 3 metri verso sud-ovest, nell’arco di circa un minuto. La scossa principale è stata seguita da centinaia di altre scosse meno violente (una delle quali ha comunque raggiunto una Magnitudo di 7.5, ovvero oltre 5 volte maggiore del terremoto che distrusse Avezzano nel 1915). L’attuale crisi sismica potrebbe durare per molto tempo (da settimane a mesi), con scosse che dovrebbero manifestare un’energia meno violenta rispetto alla scossa principale (ma non si possono escludere eventi eccezionali di energia anche superiore).

Perché l'allerta tsunami?

Quando si verifica un violento terremoto (di solito, per Magnitudo superiore a 6.5) con ipocentro poco profondo, come nel caso in esame, è possibile osservare in superficie altri fenomeni associati, tra cui le onde di maremoto. Lo scuotimento sismico può, infatti, causare spostamenti di masse sommerse (es. gradini tettonici, frane sottomarine, eruzioni costiere o sottomarine) che a loro volta determinano lo spostamento delle masse di acqua, con generazione di onde che poi si propagano velocemente (fino a circa 700 km/h) e possono colpire le coste anche a centinaia di chilometri dall’epicentro, con altezze fino ad alcune decine di metri. Diversamente dalle onde “normali” (causate dal vento), le onde di maremoto hanno un’energia enorme, e sono in grado di propagarsi a gran velocità per centinaia di metri nell’entroterra, causando devastazione.

Per questo motivo, a scopo precauzionale, il Sistema nazionale di Allertamento per i Maremoti di origine sismica (SiAM) del Dipartimento della Protezione Civile dirama bollettini di allertamento, sulla base dei dati elaborati dal Centro Allerta Tsunami dell’Ingv e dall’Ispra, per informare la popolazione in modo che possa adottare i comportamenti più adatti al caso. Col passar del tempo, se – come nel caso in esame – il monitoraggio dei dati sismici e marini non evidenzia anomalie significative associabili al maremoto, viene diramata la revoca dell’allerta, e l’evento può considerarsi terminato. Qui approfitto per sottolineare che, nel nostro Paese, i Piani di Protezione Civile (che ciascun Comune dovrebbe redigere e attuare, analizzando i rischi attesi nel territorio e informando la popolazione su cosa fare in caso di evento) non sono aggiornati (quando ci sono), oppure mancano del tutto, e la popolazione non è sufficientemente addestrata per fronteggiare le calamità. Di questa mancanza di cultura sui rischi naturali abbiamo avuto triste conferma, ad esempio, in occasione del recente disastro alluvionale avvenuto a settembre 2022 nelle Marche. Questo tipo di prevenzione potrebbe salvare molte vite, e non costerebbe molto, essendo peraltro di semplice attuazione su tutto il territorio nazionale, grazie alla presenza di validi tecnici (geologi, ma anche di altre discipline per le questioni di competenza).

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Cosa poteva succedere alla Calabria?

Per quanto detto, le coste joniche della Calabria avrebbero potuto registrare l’arrivo di ondate di maremoto. Pertanto, era stato correttamente emesso l’allerta. Ma temo che, al di là della curiosità o sorpresa per la notizia, non c’è stato un cambiamento nei comportamenti delle persone che vivono lungo la costa jonica. Nella peggiore delle ipotesi, sarebbe potuta arrivare un’ondata improvvisa, e avrebbe potuto distruggere tutto ciò che era presente lungo la costa, entro una certa altitudine (che dipende dalla Magnitudo del maremoto) sul livello medio del mare.

Che rischi ci sono per la Calabria?

Storicamente, si sono registrati diversi eventi di maremoto in Calabria. Tra i casi più eclatanti, si devono ricordare le ondate (alte fino a 13 m) che colpirono lo Stretto di Messina in occasione del terremoto del 1908, che contribuirono a devastare la fascia costiera già duramente provata dallo scuotimento sismico. Un altro evento di maremoto di grande rilievo è descritto in occasione delle scosse violentissime che colpirono a più riprese la Calabria nel 1783. Gli effetti dei terremoti sono descritti, in maniera esemplare, da Michele Sarconi, Segretario dell’Accademia delle Scienze e delle Belle Lettere di Napoli, a capo di una spedizione di rilevatori su incarico del Re, Fedinando IV di Borbone, in un’opera preziosa del 1784 (“Istoria de’ fenomeni del tremoto avvenuto nelle Calabrie, e nel Valdemone nell’anno 1783”, recentemente ripubblicata dall’editore Mario Giuditta), con tavole illustrative di grande pregio. In particolare, in conseguenza della scossa del 6 febbraio 1783, viene descritto il collasso franoso di Monte Pacì, nei pressi di Scilla, con la successiva la devastazione della costa e della popolazione che ivi aveva trovato rifugio dopo il terremoto (i cadaveri furono ripescati perfino a Malta). Più di recente, modesti eventi franosi o vulcanici alle Eolie hanno destato qualche preoccupazione, fortunatamente senza esiti apprezzabili. La sismicità della macro-regione, e la presenza di vulcanesimo attivo (anche sul fondale marino) suggeriscono di tenere sempre viva l’attenzione su questo tipo di rischio lungo le coste.

Cosa ci può dire sulla teoria del gas radon? Crede che attraverso lo sviluppo tecnologico, in futuro con la correlazione sisma-emissione gas radon si potrebbero realmente prevedere i terremoti?

La correlazione tra emissioni di gas Radon e sismicità è oggetto di studio da lungo tempo. Tuttavia, al momento non disponiamo di conoscenze sufficientemente accurate sul fenomeno, tanto da poter sfruttare questa correlazione a scopo previsionale per i terremoti. Occorrono ulteriori studi e approfondimenti, per sperare di ottenere risultati operativi da impiegare a scopo di allertamento. Ciò che da tempo sappiamo bene, però, è la correlazione tra gas Radon e sviluppo di cancro ai polmoni.

Il Radon tende a concentrarsi nelle parti basse degli edifici (es. cantine, caveau, scantinati), soprattutto in determinate aree, in base alle caratteristiche geologiche del substrato e a quelle strutturali degli edifici. In teoria, l’Europa ha già fornito indicazioni chiare sulla necessità di monitorare e mappare questo tipo di rischio per la salute umana, e gli Stati nazionali hanno recepito le Direttive europee. Purtroppo, a causa della scellerata decisione politica di decentrare (regionalizzare) la gestione di alcune questioni molto delicate – e non mi riferisco soltanto alla salute – che sono “vitali” per la popolazione, anche questo aspetto è affidato alla sensibilità della classe politica regionale. Nel caso specifico, forse la Calabria è l’unica regione italiana a non aver mai legiferato sull’argomento (eppure, qualche anno fa, in collaborazione tra Cnr-Irpi, Cnr-Isafom, Unical-Dipartimento di Fisica, Unical-Dipartimento Scienze Geologiche, Arpacal, era stata predisposta una bozza di legge regionale che stava per essere discussa, ma poi cadde il Governo regionale e siamo ancora in attesa). Si tratta di una gravissima responsabilità, e mi auguro che presto vi sia finalmente un’adeguata sensibilità politica per decidere finalmente di investire su questo argomento così rilevante per la salute della popolazione.