Il fatto non sussiste. Così ha deciso il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Paola, Alfredo Cosenza, in merito all'inchiesta che ha visto coinvolto nel gennaio di un anno fa l'allora dirigente sanitario dello spoke Cetraro-Paola, Vincenzo Cesareo, oggi assistito in aula dagli avvocati Daniela Tribuzio e Riccardo Rosa. Il medico cetrarese in piena emergenza pandemia fu raggiunto dalla misura cautelare della sospensione dal suo incarico, ma lui, pochi giorni più tardi, scelse di rassegnare le dimissioni e andare in pensione.

Era accusato dalla magistratura di aver autorizzato la somministrazione di numerosi tamponi molecolari e quattro vaccini anticovid a persone al di fuori dell'ambito ospedaliero. «Inutile esprimere la gioia per questa decisione - ha detto il legale Riccardo Rosa - che ha fatto giustizia sull'immagine di un uomo verso il quale va la stima della gente onesta». Cesareo è stato invece rinviato a giudizio per il filone di inchiesta che riguarda il presunto uso improprio dell'auto di servizio. Secondo la magistratura, il medico, che durante l'emergenza sanitaria teneva le redini di ben tre ospedali, quelli di Cetraro, Paola e San Giovanni in Fiore, avrebbe usato l'auto di servizio per faccende private. Per tale accusa dovrà affrontare il processo che prenderà il via nei prossimi mesi.

Non ci fu imbroglio

Qualche ora dopo la bufera mediatica, Cesareo non solo non negò di aver autorizzato i tamponi, me lo scrisse a chiare lettere in un post pubblico. Era il 15 gennaio. «Non intendo dare giustificazioni, ma solo salvaguardare la mia dignità professionale che, al momento, mi interessa ancor di più di quella personale. Dunque, tra le accuse rivoltemi - scrisse allora - ci sarebbe il fatto che avrei fatto fare il tampone molecolare a parenti ed amici come risulta da una intercettazione nella quale avrei detto "tampono anche i gatti". A nessuno dei media interessa conoscere il significato, per cui ve lo scrivo. Significava, semplicemente, che il tampone andava fatto a tutti per poter garantire la tracciabilità e contenere il virus».

Ammise, più tardi, anche di aver autorizzato la somministrazione dei vaccini. Anche in quel caso si giustificò dicendo che erano dosi avanzate durante la campagna vaccinale del personale sanitario e che se non fossero state utilizzate, sarebbero andate perse. Nei giorni a seguire, quella fu la prassi suggerita non solo negli ospedali, ma anche nei centri vaccinali, che cominciarono a somministrare le dosi avanzate chiamando quei cittadini che avevano dato la disponibilità pur non rientrato nelle categorie prioritarie. Il giudice, evidentemente, ha riconosciuto la buona fede e la buona condotta dell'allora dirigente sanitario, certificandone l'innocenza.