Sul corpo ridotto a uno scheletro, un paio di slip Calvin Klein e una maglietta bianca con un foro sul torace. I carabinieri a casa di mamma Elsa: «Spero sia mio figlio, avrò una tomba sulla quale poterlo piangere»
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«Spero solo sia mio figlio, spero che le mie preghiere siano state ascoltate». Mamma Elsa ha appena ricevuto la visita dei carabinieri, nella sua casa di Scaliti di Filandari, la stessa dalla quale suo figlio uscì la sera del 9 ottobre del 2018 per non farvi più rientro. I resti di quel corpo consumato dal mare e dal tempo, ritrovati al largo di San Ferdinando dalla Capitaneria di Porto, questo pomeriggio, potrebbero essere di Francesco Vangeli.
Le hanno chiesto, i militari del comando provinciale di Vibo Valentia, informati dai colleghi di Gioia Tauro, se suo figlio indossasse un paio di slip Calvin Klein. «Sì, indossava quel tipo di slip», conferma Elsa. La griffe di quell’indumento è ancora leggibile sull’elastico che cinge la vita di quel corpo ridotto ad uno scheletro e rinvenuto all’interno di una grande busta trasparente. Il torace è avvolto in parte da una maglietta di colore bianco. «Francesco aveva una maglietta Armani», Elsa la ricorda bene.
Ma non c’è traccia della griffe sulla maglietta che nella parte sinistra, aderente all’addome, mostra un foro perfettamente circolare, grande, netto. Potrebbe essere Francesco, anche se da un primo sommario esame necroscopico le caratteristiche della decomposizione non sarebbero compatibili con una permanenza in acqua di ben venti mesi?
Un'agghiacciante barbarie
Se così davvero fosse oggi di lui rimarrebbero i segni di un’agghiacciante barbarie. Le mani legate. Una corda a cingere il corpo, come se fosse stato attaccato ad una zavorra che poi si è staccata. «Spero sia lui, prego sia lui – ripete Elsa – almeno avrò una tomba sulla quale piangere mio figlio».
Ventisei anni, ragazzo cresciuto in una terra difficile, secondo le indagini coordinate dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Anna Maria Frustaci, Francesco, nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 2018, sarebbe stato attirato in una trappola a San Giovanni di Mileto, nella casa dei fratelli Antonio e Giuseppe Prostamo, nipoti dei boss Nazzareno (detenuto) e Giuseppe (ucciso in una agguato di mafia). Qui sarebbe stato gravemente ferito a colpi d’arma da fuoco, probabilmente un fucile.
Ancora vivo sarebbe stato gettato nel Marepotamo, un affluente del Mesima, che sfocia proprio al confine tra le province di Vibo Valentia e Reggio Calabria. Quel fiume e il suo affluente sono stati setacciati per giorni dai sommozzatori dell’Arma dei carabinieri, ma senza esito. Sospese le ricerche, effettuate anche con l’ausilio di elicotteri ed unità dello Squadrone eliportato cacciatori, si ritenne che il corpo fosse finito proprio in mare, nello specchio acqueo di San Ferdinando, spinto dall’impeto delle acque alimentate dalle fortissime piogge di un quell’autunno maledetto.
Le indagini di Dda e carabinieri
Le indagini della Dda di Catanzaro e dei carabinieri di Vibo Valentia sono andate avanti a ritmo battente. Chiuse nei giorni scorsi, oggi rischiano il processo i fratelli Prostamo, ma anche l’ex fidanzata di Francesco, Alessia Pesce, la quale mise al mondo una bambina che la vittima riteneva fosse sua figlia. E sarebbe da ricercare proprio nella ragazza ed in quella paternità contesa, tra Antonio Prostamo e Francesco Vangeli, il movente di quel brutale omicidio. Indagini chiuse, anche per due amici della vittima: Alessio Porretta e Fausto Signoretta, accusati di favoreggiamento (come Alessia Pesce) nei confronti dei due Prostamo, i quali avrebbero agito con la complicità di altri due sodali al momento ignoti.
Sarà necessario l’esame del Dna per stabilire se i resti rinvenuti oggi appartengano o meno a Francesco Vangeli. Il caso è all’attenzione del procuratore capo di Palmi Ottavio Sferlazza, in contatto con la Procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.