I familiari di Francesco Vangeli e Vito Lo Iacono scrivono al procuratore di Palmi Sferlazza invocando l’esito della comparazione genetica
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Un’attesa snervante. Che invoca risposte. Ci sono due famiglie appese ad un filo che assume la forma della struttura elicoidale dell’acido desossiribonucleico, meglio noto come Dna. Due famiglie che adesso chiedono risposte.
Il cadavere scheletrificato rinvenuto sulla spiaggia di San Ferdinando il 16 giugno scorso non ha ancora un nome, benché da subito le indagini si siano indirizzate a restringere il campo a due possibilità: la prima che si tratti dei resti di Vito Lo Iacono, giovane pescatore di Terrasini disperso in mare il 12 maggio 2020 dopo la collisione tra il suo peschereccio e una petroliera al largo di Palermo; la seconda che quelle povere ossa possano appartenere a Francesco Vangeli, 26enne di Scaliti di Filandari ucciso e buttato in un affluente del Mesima il 9 ottobre del 2018.
Dai congiunti del primo, nel settembre scorso, è stato prelevato un campione di Dna; la madre del secondo, Elsa Tavella, solo pochi giorni fa è stata convocata dai carabinieri per ricostruire l’albero genealogico. Ora, rappresentati dai legali Francesca Comito (per la famiglia Vangeli) e Aldo Ruffino (per i Lo Iacono), le due parti hanno rivolto un’istanza al procuratore di Palmi Ottavio Sferlazza chiedendo di avere notizie circa la comparazione biologica effettuata ormai due mesi fa.
Ricordando inoltre che nel mese di ottobre, a quattro mesi esatti dal ritrovamento del cadavere, Elsa Tavella era stata ricevuta dal procuratore palmese che l’aveva rassicurata sul fatto che a breve si sarebbero avuti riscontri sulla comparazione del Dna dei familiari di Loiacono e che solo allora si sarebbe vagliata l’ipotesi di un’ulteriore comparazione con il codice genetico della famiglia Vangeli. Cinque mesi di attese e speranze che piegherebbero chiunque e che mettono ancora una volta a dura prova Elsa Tavella e la sua famiglia, appesi ad un filamento genetico dal quale attendono una risposta.