AUDIO | Le indagini inchiodano il capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale. Secondo il gip è un politico a disposizione della cosca Libri. E vengono fuori anche i De Stefano e l’omicidio del padre del politico
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«Ricordati che abbiamo a Nicolò… Una cosa nostra nostra Franco… Ma ti voglio dire, io te lo dico a te Franco per dirti è una cosa nostra cioè non è… è come noi va». A delineare il ruolo di Alessandro Nicolò, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale, è una delle persone indagate nell’inchiesta “Libro nero”. Trattasi di Giuseppe Demetrio Tortorella, ritenuto uomo in quota cosca Libri.
Chi è Nicolò
Alessandro Nicolò è un politico di lungo corso, sin dalla fine degli anni ’90 ha sempre ricoperto ruoli di prestigio nelle amministrazioni pubbliche, non solo cittadine ma anche regionali. Dopo un passato in Forza Italia, di recente, in contrasto con la linea politica del partito, aveva deciso di aderire a Fratelli d’Italia, portando con sé tutto il suo elettorato e divenendo capogruppo in Consiglio regionale.
Politico «vicino ai Libri»
Tuttavia, Nicolò è anche un politico che, secondo diversi collaboratori di giustizia, sarebbe “accoscato”, pronto a mettersi a disposizione della criminalità organizzata. Di lui parla innanzitutto Enrico De Rosa che lo indica come «persona vicina ai Libri». Basti citare l’episodio in cui, in occasione delle elezioni comunali del 2007, Bruno Caridi riferì a De Rosa che i candidati appoggiati dalla cosca erano Demetrio Berna (anche lui arrestato oggi) e Alessandro Nicolò. Circostanza che fu confermata a De Rosa anche da Demetrio Sonsogno e da Mimmo Presto, i quali riferirono che Nicolò e Berna erano «i nostri candidati… altro non dovete votare», in quanto diretta espressione della cosca Libri.
Un altro dato viene valorizzato nell’ordinanza del gip, ossia il rapporto fra Nicolò ed il reggente della cosca Libri, Filippo Chirico. Immediatamente dopo l’elezione in Consiglio regionale, infatti, Nicolò nomina “componente interno alla struttura speciale del Vice presidente del Consiglio regionale” Pasquale Repaci, suocero di Chirico. Una circostanza assai singolare, considerato che – come ricordato dal gip – Repaci aveva la sola licenza media inferiore come titolo di studio. «Da qui – rimarca il giudice Armoleo – la considerazione che la nomina del genero di Filippo Chirico sia animata da logiche di ‘ndrangheta».
La nomina al Comune
Fra gli elementi maggiormente indizianti, il gip sottolinea anche il caso del “do ut des” tra Nicolò e la criminalità organizzata, allorquando, il politico pretendeva la nomina a dirigente di Francesco Chirico, cognato di Paolo e Giorgio De Stefano.
Siamo nel 2002 e l’allora assessore Amedeo Canale, parlando con Romeo, riferisce della possibilità che Chirico diventi dirigente comunale. Romeo risponde stizzito: «Che non ti rompano i coglioni che si stia dove cazzo è Franco Chirico». Dopo aver appreso che la richiesta è avanzata da Nicolò, Romeo esorta Canale a interfacciarsi con Nicolò e chiedere se Chirico «ti interessa a te per cristiano politico o di ‘ndrangheta», «per questioni politiche o di ‘ndrangheta». La questione degenera quando Nicolò insiste sulla richiesta e, al diniego di Canale, sbotta urlando. Allora Romeo consiglia Canale di trattarlo «come un pazzo, sottomettilo psicologicamente, fallo vergognare delle cose che ti ha detto, gli crei una soggezione psicologica, così lo fai diventare a cagione di questo scatto di nervi suo un tuo dipendente psicologico». Secondo Romeo, dunque, Nicolò aveva assunto impegni precisi con la cosca De Stefano che non poteva non rispettare.
La cena divenuta summit
E per il gip l’intraneità di Nicolò alla criminalità organizzata la si coglie anche nel corso di una cena elettorale organizzata insieme a Berna, all’agriturismo “Le agavi”, cui parteciparono anche personaggi appartenenti alla ‘ndrangheta come Sonsogno, De Rosa, «tutti i Presto» e Giuseppe Serranò. «La caratura criminale dei partecipanti – scrive il gip riprendendo le parole di De Rosa – rendeva più appropriato parlare di summit mafioso».
Allarme per le condotte
Secondo il giudice, dunque, «desta non poco allarme la condotta dell’uomo politico Nicolò, pronto a sedersi ad un tavolo con gli appartenenti alla cosca Libri, per pianificare strategie politiche funzionali al sostentamento ed al consolidamento della consorteria».
Che Nicolò fosse il punto di congiunzione della politica con la ‘ndrangheta è una circostanza che viene fuori da diverse intercettazioni. Quella più eloquente, dove si sostiene che «Nicolò è una cosa nostra», a giudizio del gip, «è un indice sintomatico forte della comune militanza del Tortorella e dell’indagato in seno alla consorteria egemone a Cannavò, è un fulgido esempio di come Nicolò sia da ritenersi il rappresentante dei Libri nel mondo politico.
E, di fatti, dopo la vittoria alle regionali, i suoi grandi elettori (ritenuti appartenenti alla ‘ndrangheta) esultavano con una esclamazione: «Ora vediamo se mantiene i patti».
L’omicidio del padre
Secondo il giudice, ancor più sintomatico è l’episodio riguardante il padre di Nicolò, Pietro, nelle conversazioni di Tortorella e Sartiano. Il duplice omicidio (oltre Nicolò fu ucciso anche Giuseppe Morabito) viene ricondotto a dissidi interni alla cosca Libri, premettendo che il padre di Nicolò era «attivo in quella zona». Il pentito De Rosa, invece, ha affermato come Sonsogno gli riferì «parlando di Sandro Nicolò, dice, è un opportunista perché lui si mischia con le persone che gli hanno ammazzato il padre». E Tortorella e Sartiano temevano l’eventuale pentimento di Domenico Ventura: «Non resta nessuno, perché esce fuori e… Morabito, esce fuori… Finisce Sandro, tutto eh. Finisce pure Sandro».