Quarantatre le vittime di una strage che ha ferito l’intera nazione. Tre quelle calabresi. Il monito del presidente della Repubblica: «Ricostruire è un dovere»
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Ore 11.36 del 14 agosto. Un boato squarcia la città di Genova. “Oddio… oddio”, una voce che non dimenticheremo mai. Il Ponte Morandi si sgretola e viene giù. È trascorso un mese da quella tragica mattina che ha segnato per sempre una città e una nazione intera. Sullo sfondo le tv trasmettono le immagini drammatiche della campata che non c’è più. Un camion diventa il triste simbolo della strage. Fermo a pochi metri dall’abisso. La macchina dei soccorsi si mette subito in moto, l’obiettivo è salvare quanti sono rimasti intrappolati nelle macerie. Presto diventa chiara per tutti l'entità della strage. Il numero delle vittime sale man mano che passano le ore. Si ferma a 43. Ci sono poi i feriti, i sopravvissuti, e gli sfollati di quelle case adagiate sotto il ponte. Iniziano subito le indagini e insieme le domande e i dubbi su chi doveva vigilare e non l’ha fatto. È caccia ai responsabili. Le polemiche si rincorrono. I tempi di demolizione, le discussioni del Governo e su chi dovrà ricostruire il ponte. Intanto arrivano i primi indagati. Sono venti. C'è anche Autostrade per l'Italia per responsabilità dell'ente. Le accuse contestate sono disastro colposo, omicidio colposo stradale plurimo e omicidio colposo aggravato dalle violazioni delle norme anti infortunistiche.
Sotto le macerie quella tragica mattina di agosto hanno perso la vita anche tre calabresi. C’è Ersilia Piccinini, originaria di Sersale e morta insieme al marito Roberto e al piccolo Samuele di nove anni. c’è Bruno Casagrande, 57enne di Antonimina, nel Reggino, e c’è Luigi Matti Altadonna, 35enne originario di Curinga, nel Catanzarese, ma residente da tempo in Liguria, un operaio, sposato e padre di quattro bambini.
Oggi Genova a un mese della tragedia è una città ancora profondamente ferita che – come afferma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella «non attende auguri o rassicurazioni ma la concretezza delle scelte e dei comportamenti» perché «ricostruire è un dovere. Bisogna farlo in tempi rapidi, con assoluta trasparenza, con il massimo di competenza». Bisogna agire «con unità di intenti e visione lungimirante. Partendo dal ricordo delle vittime, dai bisogni primari di quei cittadini che hanno perso tutto. E accompagnando via via la ripartenza con provvedimenti che sostengano l'impegno dei cittadini, delle imprese, del mondo del commercio e dell'economia. Ritrovare la normalità è una speranza che va resa concreta».
Per ricordare la tragedia, su tutti i caselli autostradali è stato apposto un nastro di stoffa nero, una piccola fascia nera posta sui box dei casellanti.