La 42enne di Reggio Calabria da 9 mesi si trova ricoverata a Bari a causa delle gravi ustioni. Ma non ha mollato neppure un istante: «Spero di riabbracciare presto i miei cari»
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«Spero che il nuovo anno inizi con tanta pace, serenità, e che finalmente io possa ritornare a casa per riabbracciare tutti i mie cari acquistando, pero la mia autonomia».
Continua a combattere e a sperare Maria Antonietta Rositani, l’infermiera 42enne di Reggio Calabria ricoverata al policlinico di Bari da oltre 9 mesi dopo che il suo ex marito, Ciro Russo, ha tentato di ucciderla dandole fuoco con della benzina.
Una storia la sua che, nell’anno appena trascorso, ha segnato profondamente non solo la città dello Stretto, ma l’Italia intera.
Un caso di cronaca terribile che è balzato all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale per l’atroce violenza che la donna ha subito, ma anche per la tenacia con cui Maria Antonietta ha affrontato, e sta affrontando, le sofferenze inferte da colui che diceva di amarla.
Sofferenze iniziate molto prima di quel 12 marzo, giorno dell’aggressione in via Frangipane, alla periferia sud della città, e che l’hanno vista essere vittima di continui maltrattamenti domestici. Maltrattamenti a cui Maria Antonietta aveva detto “basta” chiedendo la separazione e sporgendo varie denunce contro di lui.
Russo infatti, si trovava agli arresti domiciliari dopo essere stato condannato, anche in Appello, per il reato di stalking e maltrattamenti. La misura cautelare, però gli è stata sostituita dai giudici e dal carcere era passato al regime di arresti domiciliari che stava scontando ad Ercolano, in provincia di Napoli, il suo paese d’origine.
Dalla sua abitazione familiare, però, Russo non si rassegnava alla fine del loro matrimonio. Continuava a monitorarla attraverso i social network e attraverso il telefonino continuava a mettersi in contatto sia con lei che con i figli.
Una presenza la sua costante che poi è diventata pericolosa.
Nella notte intercorsa tra l’undici e il dodici marzo infatti, Russo indisturbato - non aveva il braccialetto elettronico - è evaso e a bordo della sua auto ha percorso quasi 500 chilometri giungendo a Reggio Calabria, munito di una tanica di benzina. Sapeva che quella mattina Maria Antonietta, come tutte le mattine, sarebbe andata ad accompagnare i figli a scuola. L’ha aspettata per poi tenderle un agguato.
L’ha prima speronata con l’auto e poi, mentre la donna si trovava ancora nell’abitacolo della sua macchina, ha iniziato a gettarle litri e litri di liquido infiammabile e senza esitazione ha appiccato il fuoco e, mentre la sua mano era armata dalla violenza, le diceva «muori». Maria Antonietta, però non si è arresa.
Con il volto e il corpo avvolto dalle fiamme con forza gli ha risposto «io non muoio, io vado dai miei figli», Russo scapperà; dopo quasi due giorni verrà rintracciato dagli agenti della Squadra Mobile della questura reggina e dagli agenti dello Sco all’interno di una pizzeria del centro.
Dalla sera del 13 marzo si trova recluso al carcere di Arghillà e da quel giorno si è trincerato dietro il silenzio. Con i magistrati reggini si è avvalso della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio.
Né ai suoi figli, né tantomeno a Maria Antonietta, ha spiegato le ragioni che l’hanno portato a compiere quel gesto. Ragioni infatti, non ce ne sono, ma dalla sua bocca non è uscita neanche una richiesta di perdono.
Maria Antonietta, però ha dichiarato di averlo perdonato in cuor suo. In questi mesi infatti, ha irrobustito la sua fede e per lui non prova vendetta. Vuole solo giustizia. Il 20 gennaio inizierà il processo e si aspetta che lo Stato lo giudichi in modo corretto, ma senza sconti.
Che lo Stato finalmente la “protegga” considerato che alcune sue denunce sono rimaste solo sulla carta, che quella notte nessuno si sia accorto della fuga di Russo e che soprattutto quella mattina nessuno abbia avvisato le forze dell’ordine reggine della presenza dell’uomo in città. E proprio per l’inizio del processo Maria Antonietta vuole ritornare a casa. Dai suoi due amati figli, Annie e William, da suo papà Carlo e mamma Maria Grazia, e dai suoi tre fratelli, Valeria, Danilo e Rosario che in questi mesi non l’hanno mai lasciata sola.
Il suo pensiero, ancora oggi, è rivolto a tutte le donne vittime di violenza di genere. A loro dice, con forza, «bisogna combattere ed avere tanta forza. Tutto si supera nella vita. Dobbiamo avere fede e credere sempre in Dio. Perché Dio ci aiuta ed è vicino a noi».