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Becky Moses aveva solo 26 anni. È lei la giovane donna vittima del rogo di San Ferdinando che ieri ha devastato la vecchia tendopoli. Era fuggita dalla Nigeria coltivando il sogno di una vita migliore. E’ un paese difficile il suo, segnato da violenze, persecuzioni, superstizioni. La tratta delle donne che diverranno le schiave del sesso sulle strade d’Europa inizia qui. Eppure Becky il suo l’aveva quasi coronato, arrivando a Riace. Poteva continuare ad essere ospite dello Sprar di Mimmo Lucano, ma la sua domanda di protezione internazionale è stata respinta dalla burocrazia di uno Stato per il quale, denuncia il sindaco dell’accoglienza, «le persone sovente diventano numeri».
Così Becky aveva trovato riparo a San Ferdinando. Non nella nuova tendopoli, quella sicura, controllata dallo Stato, ma l’altra, la vecchia, quella che doveva essere smantellata, perché pericolosa, perché priva di controllo, perché zona franca, luogo, hanno svelato recenti indagini di polizia, d’illeciti, di spaccio, di prostituzione, il bacino della disperazione in cui i caporali reclutano gli schiavi delle campagne.
E’ morta nell’ultimo devastante rogo, forse colpa di un braciere. Forse, ipotesi investigativa rilanciata dall’Ansa, all’origine del rogo c’è stato un litigio, forse il rogo è stato doloso. Ma Becky è comunque morta. E non doveva essere lì. Quella tendopoli non doveva più essere lì.