Non ci sono solo il traffico di cocaina e le estorsioni tra gli affari che Carmelo “Memè” Gullì aveva messo in piedi a sostegno del clan Latella-Ficarra, nella zona di Arangea, quadrante sud di Reggio Calabria. Le indagini della distrettuale dello Stretto hanno infatti fatto luce anche sugli affari che lo stesso Gullì aveva creato nel ricco comparto legato alla trasformazione e alla vendita del bergamotto, l’oro giallo diventato simbolo dell’agrumicoltura reggina. Due le società individuate dagli inquirenti come orbitanti nella galassia d’affari di Gullì (finito agli arresti assieme ad altre 11 persone) e messe sotto sequestro: la “Bergamotto” e la “NG Citrus” che, raccontano le indagini, erano di fatto gestite dall’indagato attraverso i sui familiari.

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Gullì, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, era «il socio di fatto e l’occulto gestore delle due imprese in questione, pur non avendo mai ricoperto formalmente alcun ruolo all’interno della compagine societaria e pur figurando solamente, quale dipendente e lavoratore agricolo giornaliero dal maggio del 2019».

Quello del bergamotto è un mercato in continua espansione – l’unico nel territorio della provincia di Reggio a garantire alti livelli di commercializzazione – e Gullì lo sa benissimo. È lui stesso a vantarsi  con un sodale della decisione di espandere gli interessi della cosca verso quella direzione: «Valgono un sacco – commenta intercettato dai carabinieri – ora stanno acquistando valore, prima li lasciavano sugli alberi». Un controllo effettivo su tutte le attività aziendali, ipotizzano gli inquirenti, quello esercitato da Gullì: dalla “sistemazione” delle fatture, all’acquisto di nuovi terreni in cui stoccare il prodotto, passando per i clienti da escludere dal proprio giro d’affari.

Un affare redditizio quello della commercializzazione del bergamotto (affare che permetteva allo stesso indagato di raccattare anche un considerevole numero di giornale agricole fittizie); un affare che andava protetto dalle eventuali indagini: «Io non voglio neanche una virgola a nome mio – raccontava l’indagato al suocero – io gliel’ho detto, io non devo esistere da nessuna parte, e sai perché? Perché poi sai che fanno loro? magari io ho avuto precedenti, magari io ho avuto precedenti, magari ho avuto qualche segnalazione vecchia con qualcuno, dicono un prestanome, capisci? Non voglio che succedono queste cose».

E se, almeno sulla carta, l’indagato era fuori dalla gestione degli affari delle società di famiglia, in concreto era lo stesso Gullì a tenere le redini del gioco, vantandosi con i propri clienti della propria capacità imprenditoriale: «Ho firmato diversi contratti – racconta ad un cliente da cui intende comprare altro prodotto – e quest’anno ho più contratti dell’anno scorso. Ho sempre la mia quota sull’essenza, ho sempre la mia quota sul succo quindi ormai ci stiamo muovendo in maniera diversa! Abbiamo creato la società cooperativa già l’anno scorso, la NG Citrus e in più quest’anno facciamo parte di Wecoop, siamo inseriti nel programma Coldiretti Italia, stiamo entrando nei supermercati con Coldiretti. Penso che riusciremo a fare l’OP sul bergamotto pure. Saremo noi gli ambasciatori Fai, saremo noi».

E se le cose, a livello imprenditoriale, rischiavano di prendere una piega diversa da quella seguita da Gullì, per riportare tutto sotto controllo, restavano sempre i metodi prettamente mafiosi. Come nel caso dell’acquisto di un terreno del valore di 250 mila euro, poi sfumato. Il terreno, di proprietà di un’anziana, fa gola all’indagato che vorrebbe pagarlo in nero e utilizzarlo come deposito provvisorio per i carichi di bergamotto. Ma anche altri acquirenti sono in lizza per quel lotto e quando Memè viene avvisato, gli investigatori registrano la sua reazione: «lo chiamo – dice ad un sodale riferendosi all’imprenditore che a sua volta vorrebbe quel terreno – e gli dico: bello ma che cazzo fai perché questo è entrato nella trattativa?».