Sicuro inquinamento probatorio e reiterazione dei reati, ovvero il portare a compimento anche gli omicidi di Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla dopo aver ucciso con un’autobomba il figlio Matteo. Ma anche la possibilità per gli indagati di «avvalersi del contributo informativo di alcuni soggetti in grado di ottenere informazioni qualificate». Sono i motivi alla base della decisione del gip distrettuale di Catanzaro, Federico Zampaoli, di firmare una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Rosaria Mancuso, 63 anni, del marito Domenico Di Grillo, 71 anni, Lucia Di Grillo, 29 anni (figlia dei primi due) e del marito Vito Barbara, 28 anni, tutti di Limbadi.


Un’ordinanza che svela un particolare di non poco conto e sul quale sono in corso ulteriori approfondimenti investigativi. Una circostanza inquietante, ma che la dice lunga sulla possibilità dei Mancuso-Di Grillo di inquinare le prove raggiunte contro di loro se lasciati in libertà, atteso che sarebbero riusciti ad “agganciare” un soggetto capace di fornirgli diverse informazioni sulle indagini in corso.


È nello specifico un’informativa dei carabinieri del 19 giugno scorso – richiamata dal gip – a svelare il particolare inedito di una “talpa” capace di frequentare i locali della Stazione dei carabinieri di Limbadi. Un soggetto già identificato dai militari dell’Arma e che sarebbe stato incaricato saltuariamente di eseguire alcuni lavori di manutenzione proprio all’interno della Stazione dei carabinieri. Sarebbe stato lui l’uomo capace di ottenere informazioni qualificate da trasferire poi ai Mancuso-Di Grillo, capaci così di agire nel tentativo di inquinare il quadro probatorio assunto a loro carico.


Un quadro probatorio forte, secondo il gip, tanto da far ritenere sussistenti «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza» capaci di superare il divieto di custodia cautelare in carcere per l’ultrasettantenne Domenico Di Grillo e la madre con figli minori di sei anni, Lucia Di Grillo. In definitiva, per il magistrato si è in presenza di un pericolo di recidiva criminosa di «livello tale da superare il grado delle normali esigenze cautelari oltrepassando l’estremo della semplice concretezza richiesta» dal codice di procedura penale, per assumere quello di una «sostanziale certezza che gli indagati, se sottoposti a misure diverse dalla custodia in carcere, continueranno a commettere delitti» o comunque metteranno a repentaglio le prove da assumere.


A riprova di ciò, secondo il giudice, vi è uno specifico episodio che finisce per “inguaiare” ancor di più Rosaria Mancuso e gli altri indagati. Un episodio anche questo svelato dal gip e che la dice lunga sull’attuale «e concreto pericolo» di nuove azioni di morte già programmate contro Rosaria Scarpulla e Francesco Vinci. In occasione dell’arresto del 25 giugno scorso e la traduzione di Rosaria Mancuso nel carcere femminile di Reggio Calabria, in esecuzione del fermo di indiziato di delitto della Dda di Catanzaro, la donna si sarebbe lasciata andare a bestemmie ed insulti contro Rosaria Scarpulla e poi al seguente commento: «Lei doveva morire nella bomba, non quell’altro. Dite che non esco? Io non esco, ma se esco…».


Il tutto riferito in dialetto ai carabinieri che la stavano portando in carcere i quali, ovviamente, hanno riportato il tutto al Comando provinciale di Vibo Valentia che ha redatto un’apposita nota sull’episodio il 6 luglio scorso. Gli interrogatori delle quattro persone raggiunte dalla nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere sono programmati per la giornata odierna. Il gip distrettuale, Federico Zampaoli, ha invece rigettato la richiesta di arresto della Dda di Catanzaro nei confronti di Rosina Di Grillo, 37 anni (figlia di Rosaria Mancuso e Domenico di Grillo) e di Salvatore Mancuso, 46 anni (fratello di Rosaria Mancuso, difeso dall’avvocato Giovanni Marafioti), così come in precedenza aveva fatto il gip del Tribunale di Vibo Gabriella Lupoli. Vito Barbara e Domenico Di Grillo (rinchiusi nel carcere di Vibo) sono difesi dall’avvocato Giuseppe Di Renzo, unitamente a Rosaria Mancuso che si trova nel carcere di Lecce. Lucia di Grillo, rinchiusa a Roma nella casa circondariale di Rebibbia, è invece difesa dall’avvocato Giovanni Vecchio.