Il pm Andrea Mancuso ha lasciato il comando dei carabinieri di Vibo Valentia mantenendo il più rigido riserbo al termine di sette ore d’interrogatorio a cui è stata sottoposta Rosaria Scarpulla, la madre di Matteo Vinci, il biologo 42enne ucciso da un’autobomba a Limbadi il 9 aprile scorso. Il maggiore Valerio Palmieri accoglie mamma Sara alle 10.50. Esce solo alle 20 di sera. È stanca, ma i suoi occhi, spenti dalle lacrime sin dall’immane tragedia finita sulle prime pagine dei giornali italiani, c’è una nuova luce, la luce della speranza: «È andata bene, sentiamo l'appoggio delle forze dell'ordine e questo ci spinge ad andare avanti ancora più agguerriti».


Sette ore d’interrogatorio, piene, intense, la gran parte delle quali spese a ricostruire le controversie per i confini dei rispettivi terreni con quei vicini dai cognomi così pesanti, i Di Grillo-Mancuso. Mostra fiducia nello Stato e nelle istituzioni, nel procuratore Gratteri e nel suo sostituto, nei carabinieri del colonnello Magro. In uno Stato che nel Vibonese ha deciso, finalmente, di creare uno spartiacque con il passato: che ascolta, che non abbandona. Ad attendere Rosaria Scarpulla, per l’intera giornata, la promessa sposa di Matteo, Laura Sorbara e il loro avvocato, che ha avuto ampie rassicurazioni anche dal prefetto di Vibo Valentia Guido Longo in ordine alla loro sicurezza.

 

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