Le accuse a Maysoon Majidi, arrestata per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina dopo uno sbarco a Crotone, poggiano sulle parole di due migranti, che oggi smentiscono: «Mai detto che fosse complice». Ma le dichiarazioni non sono utilizzabili nel processo
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«Non ho mai detto che Maysoon Majidi aiutò il comandante di quel barchino a raggiungere le coste della Calabria e non ho mai sostenuto che fosse sua complice». Non ha dubbi uno dei due migranti, sulle parole del quale si poggiano le accuse nei confronti della giovane attivista iraniana detenuta nel carcere di Castrovillari. È stato rintracciato in Germania dal programma Mediaset “Le Iene” che ne ha registrato le nuove testimonianze.
Diffuse ieri sera, sono state pronunciate in video e smentiscono quelle messe a verbale inizialmente, ma ai fini processuali per adesso non sono utilizzabili dalla difesa in quanto non è possibile prendere dichiarazioni all’estero. La teoria è stata sostenuta fin dal primo istante dagli avvocati della 28enne che hanno sempre parlato di una cattiva interpretazione o di una trascrizione errata.
Anche l’altro migrante, che ora vive in Inghilterra, ha inviato un videomessaggio. Inequivocabile. «Maysoon era un passeggero come gli altri, non c’entrava nulla con il capitano». Sono, in entrambi i casi, affermazioni che viaggiano in una direzione contraria a quelle messe nero su bianco il 31 dicembre 2023. La notte dello sbarco.
Maysoon Majidi, quando mise piede sulle coste orientali della Calabria dopo un viaggio da incubo e costosissimo, urlò alla Guardia Costiera: «Sono una rifugiata politica». E alzo le mani. Non fu sufficiente perché fu arrestata a Crotone con l’accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Lo Stato Italiano sospetta di lei che sia una scafista, mentre in patria è considerata un’oppositrice, una persona non grata a Teheran. Ed è per questo che decise di scappare insieme a suo fratello, perché agli Ayatollah non piace per nulla chi difende i diritti civili, i diritti delle donne e parla di emancipazione sociale e culturale. Qualcosa di intollerabile, del resto, laddove sparizioni forzate, tortura e altri maltrattamenti sono pratiche diffuse e sistematiche.
Maysoon lasciò l’Iran nel 2019 dopo aver partecipato alle proteste contro il regime dove morirono oltre 1.500 persone. Le toccarono torture atroci. Arrivò nel Kurdistan iracheno continuando il suo attivismo, ma fuggì di nuovo perché anche lì perseguitata e per questo si imbarcò per raggiungere l'Europa. Detenuta nel carcere di Castrovillari, forse più di una lunga e ingiusta pena, l’incubo della giovane è il rimpatrio. Il rischio che correrebbe sarebbe altissimo.
Nelle carte dell’inchiesta la si accusa di aver distribuito acqua, il poco cibo a disposizione e di aver cercato di mantenere la calma laddove possibile: la naturale inclinazione ad aiutare il prossimo per il fratello, per l’associazione che ne perora la causa e per i suoi avvocati. Qualcosa invece su cui andare fino in fondo in regime di detenzione per la magistratura, che poggia le sue deduzioni anche sulle dichiarazioni verbalizzate dai due migranti. Migranti che, ieri, da lontano hanno puntualizzato in maniera netta la loro versione. Non però a marzo, nell’incidente probatorio. Nel corso dell'udienza si scoprì, infatti, che non era possibile ascoltare i due che - a tre mesi dallo sbarco – lasciarono l'Italia per la Germania e il Regno Unito.
Del caso si sono interessati l’ex presidente della Camera Laura Boldrini (Pd), l’europarlamentare Laura Ferrara (M5S) che ha scritto una lettera a Mattarella e il consigliere regionale della Calabria Ferdinando Laghi (DeMa Presidente). Tutti hanno stigmatizzato il Decreto Cutro, rimarcando come abbia reso più difficile ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari perché «di fatto si ritorna a una situazione in cui la protezione è riconosciuta solo ai cittadini stranieri ritenuti degni, lo stato detentivo e un’indagine a proprio carico ne pregiudica l’ottenimento».