Pasquale Bonavota, il boss di 'ndrangheta latitante dal 2019 arrestato ieri in cattedrale a Genova, al momento dell'arresto aveva in tasca anche alcuni santini e un telefonino intestato a un’altra persona.

È quanto emerge dalle indagini dei carabinieri coordinati dalla procura di Catanzaro. «Stiamo valutando se aprire un fascicolo sugli eventuali fiancheggiatori genovesi» ha detto il procuratore capo di Genova Nicola Piacente. Nell'appartamento di San Teodoro, dove il boss stava da alcuni mesi, gli investigatori del nucleo operativo di Genova (guidati dal colonnello Michele Lastella) e dei Ros (diretti dal maggiore Fabrizio Perna) hanno trovato anche documentazione sanitaria: documenti che Bonavota avrebbe utilizzato per visite e analisi di routine.

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Gli inquirenti stanno cercando di capire chi gli abbia fornito i documenti di identità, almeno quattro. Quello che aveva in tasca era intestato a un uomo di Sant'Onofrio, realmente esistente. I carabinieri cercavano Bonavota dal 2018, quando il boss si sottrasse alla cattura dopo una condanna per omicidio. E poi dal dicembre 2019, quando sfuggì nuovamente all'arresto nell'operazione Rinascita-Scott che ha decapitato le cosche vibonesi con 334 arresti.

Dal reato di omicidio Bonavota è stato poi assolto in appello ma su di lui continuava a pendere l'ordinanza emessa dal gip di Catanzaro su richiesta della Dda guidata da Nicola Gratteri, perché ritenuto la mente della cosca. Era l'unico ancora latitante dell'inchiesta Rinascita-Scott.

Con un lavoro minuzioso, gli investigatori sono riusciti a restringere il cerchio a Genova dove, tra l'altro, nel 2008, fu arrestato il fratello Domenico, anche lui dopo una breve latitanza.