La donna inizia una collaborazione stroncata dalla violenza del marito, ma le sue dichiarazioni sono risultate importanti per le indagini: «Si spacciava giorno e notte»
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«L'attività di spaccio avveniva senza sosta, tutto il giorno, ventiquattrore su ventiquattro». A riferirlo è Natascia Paparazzo, 31 anni, coinvolta a pieno titolo nel traffico di droga il cui epicentro era a sud di Catanzaro nell'appartamento di via Teano, al civico 19. La giovane, tuttavia, decide di cambiare vita e inizia una collaborazione con le forze dell'ordine che però ha una breve durata.
Spaccio di droga a Catanzaro: la collaborazione
È il marzo del 2021 quando la donna si reca spontaneamente negli uffici della questura di Catanzaro manifestando la propria volontà di collaborare con la giustizia: «Per il bene proprio e dei propri figli, considerando lo stile di vita intrapreso eccessivamente rischioso. Tale considerazione l'aveva indotta prima a trasferirsi in località Campagnella e poi fuori regione». A farle mutare avviso però il compagno che dinnanzi all'offerta di un lauto guadagno proveniente dallo spaccio di droga l'aveva malmenata: «Sferrandole un pugno sul viso mentre teneva in braccio il figlio».
Spaccio di droga a Catanzaro, l'organizzazione
Tuttavia, le dichiarazioni della donna - confluite nell'odierna inchiesta messa a segno congiuntamente da polizia e carabinieri sotto il coordinamento della Procura di Catanzaro - ha consentito di ricostruire i ruoli del gruppo «articolato su base familiare ma organizzato in maniera professionale gestendo apprezzabili quantitativi di stupefacente e servendosi di un sistema collaudato che vede quale base logistica principale l'abitazione sita al quarto piano di via Teano, numero 19».
Spaccio di droga a Catanzaro, la famiglia
Al vertice del gruppo Marco Passalacqua, 25 anni, e sua moglie, Angela Tropea. A coadiuvare la coppia nelle attività illecite le sorelle e i fratelli di Marco Passalacqua: Rossella detta Rò Rò, Fiorella, Daniele detto Lupin, Domenico Salvatore detto Geppetto. E poi Franco Passalacqua detto Bis marito di Rossella, Natascia Paparazzo compagna di Domenico Salvatore Passalacqua, Damiano Veneziano marito di Fiorella Passalacqua. Ed è in questa intrecciata rete familiare che si inserisce anche la vicenda di Natascia.
Spaccio di droga a Catanzaro, l'offerta
Proprio Marco Passalacqua avrebbe prospettato al fratello, Domenico Salvatore e compagno di Natascia, la prosecuzione dell'attività illecita a fronte di una retribuzione settimanale di 300 euro. «La possibilità che Domenico Salvatore accettasse l'offerta era divenuta oggetto di discussione tra i due fino a che, quest'ultimo, al culmine di un diverbio aveva alzato le mani contro di lei». La donna successivamente interrompe la collaborazione.
Spaccio di droga a Catanzaro: i turni giorno e notte
«L'attività di spaccio avveniva senza sosta, tutto il giorno, ventiquattrore su ventiquattro» spiega la donna agli investigatori. «Ci dividevamo i turni di giorno e di notte, e la sostanza da spacciare: al terzo piano si vendeva cocaina, al quarto kobret o viceversa. I clienti ormai lo sapevano, diversamente quando citofonavano li si indirizzava al piano a seconda della richiesta. La cessione avveniva sempre dentro casa: si pesava davanti al cliente la sostanza richiesta e poi la si consegnava. Per strada c'era Giovanni Veneziano che indirizzava i clienti. L'attività è stata molto fiorente nel 2019 ma è proseguita anche durante il lockdown del 2020. In quel periodo è capitato che alcuni nostri clienti fungessero anche da spacciatori e acquistassero più stupefacente ad un prezzo maggiorato per rivenderlo».
Spaccio a Catanzaro, la droga tagliata
«Comparavamo quantitativi non eccessivi di cocaina perchè poi si procedeva al taglio con il mannitolo, che acquistavamo in farmacia o all'erboristeria. Del taglio se ne occupavano Marco e Daniele Passalacqua, in questo modo riuscivamo ad incrementare notevolmente la merce da spacciare e conseguentemente i profitti. Il kobret lo chiamavamo con il termine "nera" anche se questo termine indica anche l'eroina. Invece la cocaina veniva chiamata "bianca". I clienti talvolta usavano il termine "caffè" per indicare il kobret, in particolare dicevano "Posso venire a prendermi il caffé?". Con altri clienti invece sapendo già che sostanza volevano bastava la richiesta di incontro per capire cosa e quanto volevano. Durante il lockdown del 2020 è capitato di portare stupefacente a domicilio da una cliente che acquistava ogni volta 50 euro di cocaina e 50 euro di kobret».