Sono dodici le persone arrestate e ventuno in tutto gli indagati nell'ambito dell'operazione "Geolja" eseguita dai carabinieri tra la provincia di Reggio Calabria e quelle di Brescia e Milano sotto il coordinamento della Dda reggina, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri. Le dodici persone raggiunte da misura cautelare, tutte originarie del Regginoi, sono ritenute responsabili, a vario titolo ed in concorso tra loro, di associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e illecita concorrenza con minaccia o violenza con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso.

I nomi degli arrestati

  • Salvatore Copelli, di anni 53, già detenuto presso la Casa Circondariale di Cosenza (custodia cautelare in carcere);
  • Francesco Copelli, di anni 63 (custodia cautelare in carcere);
  • Domenico Copelli, di anni 33 (custodia cautelare in carcere);
  • Antonio Gerace, di anni 58 (custodia cautelare in carcere);
  • Domenico Ragno, di anni 64 (custodia cautelare in carcere);
  • Girolamo Piromalli, di anni 41 (custodia cautelare in carcere);
  • Domenico La Rosa, di anni 31 (custodia cautelare in carcere);
  • Vincenzo La Rosa, di anni 29 (custodia cautelare in carcere);
  • Antonino Plateroti, di anni 25 (custodia cautelare in carcere);
  • Rocco Molè, di anni 26, già ristretto presso la casa circondariale di Bari (custodia cautelare in carcere);
  • Rocco Giovinazzo, di anni 75 (arresti domiciliari);
  • Giuseppe Pesce, di anni 73 (arresti domiciliari).

Le indagini partite da un incendio

L’operazione, denominata "Geolja", prende il nome dal primo nucleo abitativo sorto in epoca medievale attorno al quale successivamente si è esteso l’agglomerato urbano dell’odierno centro di Gioia Tauro. L’attività investigativa ha consentito di colpire il sodalizio criminale facente capo alla storica famiglia mafiosa dei Piromalli operante a Gioia Tauro, nonché di coinvolgere nell’inchiesta anche alcuni esponenti della cosca Pesce di Rosarno.

L’odierno provvedimento giunge all’esito di indagini condotte dalla Sezione operativa della Compagnia carabinieri di Gioia Tauro, sotto il coordinamento dell’Autorità giudiziaria distrettuale, nel periodo compreso tra il mese di agosto 2018 ed il mese di maggio 2020. Determinante il contributo dell’attività investigativa posta in essere dagli inquirenti, che è stata messa in correlazione con le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia ed altre importanti acquisizioni documentali.

Tutto è partito dall'incendio di un panificio nel comune di Gioia Tauro, "L'Arte del Pane", nella notte tra il 18 e il 19 agosto 2018: ignoti, dopo aver manomesso l’impianto di videosorveglianza di un bar limitrofo, si sono introdotti nella parte retrostante del panificio appiccando le fiamme a diverse aree dell’esercizio commerciale, inclusi il punto vendita e i laboratori, nonché parte del deposito attiguo al punto vendita stesso. Solo l’intervento dei vigili del fuoco di Palmi e del personale della Compagnia carabinieri di Gioia Tauro ha permesso di evitare ulteriori conseguenze.

I titolari del panificio si sarebbero dunque rivolti al boss di Rosarno, loro paese d'origine, per individuare i responsabili e risolvere la questione. Costretti a chiudere l'attività commerciale per diversi mesi, i due imprenditori hanno prima fatto richiesta di accesso a un fondo di solidarietà del ministero dell'Interno per le aziende colpite da attentati dolosi e poi sono stati autorizzati dalla 'ndrangheta a riaprire il panificio subendo sia l'imposizione di prezzi, orari e periodi di ferie, in modo da non danneggiare l'attività concorrente dell'arrestato Antonio Gerace, sia il pagamento del pizzo alla cosca. Le cosche Piromalli e Molè nel frattempo, dopo i contrasti determinati dall'omicidio del boss Rocco Molè, e dopo gli arresti che in questi anni hanno colpito le due famiglie, avrebbero deciso di stringere un patto di non belligeranza, delineando nuovi equilibri criminali sul territorio e ribadendo il proprio predominio nel settore delle estorsioni.

L' «occhio bionico» delle cosche sui negozi

A seguito del grave atto incendiario, gli inquirenti hanno scoperto un complesso contesto delinquenziale nel quale i vari esercizi commerciali venivano ciclicamente taglieggiati e controllati, dalle consorterie mafiose locali, nelle loro scelte di dettaglio e nelle strategie imprenditoriali. Le cosche di ‘ndrangheta infatti, in virtù della forza intimidatrice derivante dalla loro appartenenza al vincolo associativo, mettevano in atto un vero e proprio controllo del territorio e delle attività commerciali locali, mediante riscossione di somme di denaro, beni e altri prodotti a titolo estorsivo. Pertanto, i commercianti dovevano sottostare alle loro regole ed adeguarsi ai prezzi imposti, ai periodi ed alla lunghezza delle ferie, che dovevano essere concordate con le attività commerciali limitrofe. Una vera e propria morsa che attanagliava i vari esercizi commerciali, al punto da costringere i piccoli imprenditori a voler fuggire dalla realtà locale per cercare fortuna altrove, specialmente verso il Nord Italia.

Emblematico il commento esternato da alcuni commercianti di Gioia Tauro, i quali definivano il controllo posto in essere da uno dei membri della cosca Piromalli nei confronti della loro attività commerciale, come «l’occhio bionico», a significare che gli stessi si sentivano monitorati, o meglio, spiati dalla criminalità organizzata.

Il pizzo con la lotteria e banconote nei panini

La corresponsione dei proventi delle estorsioni garantiva la copertura idonea alle aziende: una sorta di protezione mafiosa per cui le imprese venivano in un certo senso “regolarizzate” ed autorizzate ad esercitare l’attività commerciale. Alcuni episodi di taglieggiamento sono apparsi singolari nella loro attuazione pratica, come ad esempio l’estorsione posta in essere sotto forma di vendita di blocchetti di biglietti per una presunta lotteria per le festività pasquali, dal cui acquisto i commercianti non si potevano esimere per timore di eventuali ritorsioni mafiose. Altrettanto atipica è risulta essere la modalità di pagamento di una trance estorsiva, effettuata con la consegna ad uno degli esponenti della cosca Piromalli di 500 euro nascosti all’interno di un panino.

Un contesto, quello della Piana di Gioia Tauro, ove la criminalità organizzata la faceva da padrona, imponendo una concorrenza illecita mediante violenza e minaccia e dove le vittime erano costrette ad allinearsi sui prezzi delle singole merci, sugli orari di apertura e persino sui periodi di chiusura. Di fatto un ambito dove era praticamente azzerata la libera concorrenza ed il territorio risultava essere suddiviso tra le singole famiglie della ‘ndrangheta, come confermato anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

Intestazione fittizia, sequestrate aziende

Inoltre, gli inquirenti hanno potuto dimostrare, nel corso delle investigazioni, anche l’intestazione fittizia di alcune attività commerciali, le quali erano effettivamente gestite da rappresentanti delle cosche locali che preferivano però non figurare in qualità di intestatari, allo scopo di eludere i controlli delle forze di polizia o aggirare eventuali difficoltà per l’ottenimento di autorizzazioni varie ai fini burocratici.

L’operazione colpisce alcuni dei soggetti vicini alle più potenti cosche di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione e mantenimento del potere mafioso. La volontà di controllare gli esercizi commerciali della zona e di riscuotere il “pizzo”, mediante metodologie che si discostano da quelle classiche, è finalizzata non solo all’arricchimento economico dei membri delle consorterie mafiose, ma soprattutto ad imporre il proprio carisma criminale e non mettere in discussione la forza intimidatrice delle cosche nel mantenimento della pax mafiosa. Il capillare controllo del territorio, le capacità informative e gli efficienti approfondimenti investigativi dei Carabinieri sotto il coordinamento e indirizzo dell’Autorità Giudiziaria, attraverso una strategia investigativa oculata, hanno consentito di individuare quelle attività delittuose tipiche della ‘ndrangheta, attraverso le quali le consorterie influenzano le dinamiche economiche dei territori.

Nell’ambito dell’attività d’indagine, infine, L’Autorità giudiziaria distrettuale ha anche emanato un decreto di sequestro preventivo del capitale sociale e del patrimonio aziendale, nei confronti di 6 aziende di Gioia Tauro, in particolare un panificio, un lido, una concessionaria, un distributore di benzina, un autolavaggio ed un’impresa di rivendita di pietre da costruzione, i quali erano fittiziamente intestati a soggetti di Gioia Tauro, mentre in realtà erano gestiti da membri delle consorterie mafiose, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale e di agevolare la commissione di reati di riciclaggio.