L'indagine della Dda di Salerno si origina dalle dichiarazioni di Francesco Saraco, il quale avrebbe raccontato di una richiesta di denaro per corrompere l'ex presidente del Tribunale del Riesame. Sullo sfondo il processo Itaca Free Boat
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Il gip del Tribunale di Salerno ha disposto l’archiviazione di un altro filone d’indagine, originato dall’inchiesta Genesi che nel gennaio del 2020 aveva portato tra gli altri all’arresto dell’ex presidente di sezione della Corte d’Appello, Marco Petrini, e ipotizzato un giro di corruzione nel distretto giudiziario catanzarese.
Le accuse contro Staiano
Finiscono così archiviate le accuse di millantato credito del patrocinatore inizialmente mosse nei confronti dell’avvocato Salvatore Staiano e quella di corruzione in atti giudiziari aggravata dalle modalità mafiose nei confronti di Marco Petrini. L’indagine trae origine dalle dichiarazioni rese dall’avvocato Francesco Saraco che aveva avviato un percorso di collaborazione con i magistrati di Salerno, dopo essere stato anche lui coinvolto nell’inchiesta Genesi, ricostruendo una serie di episodi riguardanti l’avvocato Salvatore Staiano e l’ex presidente del Tribunale del Riesame Giuseppe Valea.
La proposta di difesa
Nel racconto messo a verbale nel febbraio del 2020, l’avvocato catanzarese si sarebbe proposto in qualità di legale difensore di Antonio Saraco (padre di Francesco) imputato nel processo Itaca Free Boat chiedendo la somma di denaro di 200mila euro. Dopo aver formalizzato la nomina, Francesco Saraco avrebbe chiesto a Staiano «a cosa servissero i 200mila euro ricevendo come riposta che una parte non quantificata del denaro serviva a corrompere il giudice Valea, il quale sempre secondo quanto riferito dal legale avrebbe dovuto emettere il provvedimento in loro favore relativo al sequestro di prevenzione».
Solo 15mila euro
Tuttavia, a fronte della presunta richiesta avanzata dall’avvocato Salvatore Staiano, Saraco ne avrebbe versato solo una parte «15mila euro per attività professionale non avendone peraltro la disponibilità in quanto il suo obiettivo era quello di ottenere un provvedimento di confisca in primo grado per poi ottenere, a seguito di appello, dal presidente Petrini la restituzione dei beni confiscati, sulla base dei 60mila euro che aveva già versato per la corruzione del magistrato».
I conti puliti del giudice
Al termine di ulteriori approfondimenti investigativi, è però la stessa Dda a confermare che non risultano «evidenze di movimentazioni di natura economico-patrimoniale di origine sospetta» sui conti dell’ex presidente del Tribunale del Riesame. «Tali (negativi) esiti investigativi hanno condotto - si legge nella richiesta di archiviazione - a stralciare ed archiviare l’ipotesi di reato originariamente iscritta nei confronti del giudice Valea in relazione alla vicenda Saraco non ritenendo sotto altro profilo il solo dato relativo al ritardo oggettivamente notevole con il quale il provvedimento di interesse dei Saraco risultava depositato di per sé solo idoneo a colorare di illeceità la condotta del magistrato, ovvero ad inferire dallo stesso l’esistenza di condotte collusive con l’avvocato Staiano».
Perquisizioni in studio
E nemmeno ulteriori attività investigative e perquisizioni eseguite nello stesso studio legale dell’avvocato avrebbero aggiunto nulla «rispetto al cuore della vicenda (ovvero, l’asserita esosa richiesta di denaro avanzata dall’avvocato Staiano ai Saraco per risolvere il loro problema giudiziario)» conclude il sostituto procuratore Francesca Fittipaldi.
Nel nome del giudice
La Dda di Salerno ha, infatti, proceduto oltre ipotizzando anche che «il legale avesse, invece, millantato la propria vicinanza con il giudice e la facoltà di incidere sulle decisioni di costui anche attraverso condotte corruttive». Tuttavia, dalle indagini «non risulta univocamente acquisita la circostanza che l’avvocato Staiano abbia espressamente speso il nome del Valea, atteso che la notorietà dei rapporti esistenti tra i due avrebbe ben potuto, alla luce dell’esosa somma richiesta, legittimare nel Saraco il convincimento che tale somma fosse destinata anche solo in parte al giudice sulla base di valutazione del tutto autonome, analoghe di fatto a quelle espresse».
Le corruzioni in Corte d'Appello
Nessun riscontro poi si è avuto alle accuse mosse dall’ex magistrato Marco Petrini (difeso dall'avvocato Francesco Calderaro) nei confronti dell’avvocato Staiano. L’ex presidente di sezione della Corte d’Appello aveva, infatti, descritto una serie di episodi corruttivi nel quale sarebbe stato coinvolto assieme al penalista catanzarese. A titolo d’esempio, aveva messo a verbale di aver «ricevuto a mano dall’avvocato Staiano la somma di contanti di 5mila euro nei locali della Corte d’Appello», a seguito di una pronuncia favorevole. E poi ricorda ancora «un’altra o due occasioni» in cui avrebbe ricevuto «somme di denaro a titolo corruttivo dall’avvocato Staiano sempre in relazione a procedure di prevenzione».
Le ritrattazioni
Anche in questo caso all’esito delle attività d’indagine «si dà conto, da un lato, di risultanze neanche pienamente favorevoli ai proposti in relazione alle procedure; dall’altro del dato delle ampie ritrattazioni del Petrini». Le dichiarazioni, secondo il sostituto procuratore, «soffrono di insanabili contrasti sia in ordine alle concrete modalità di verificazione dei fatti sia in ordine al quantum del patto-dazione, oggetto di corruzione variando continuamente sul punto le diverse versioni fornite da Petrini infarcite peraltro di “non ricordo” e “mi sembra”».