C’è una data che questo 2018 consegna alla memoria della città di Reggio Calabria e della regione tutta. Un giorno nel quale una decisione presa a Roma mette una pietra tombale su un percorso avviato ben 17 anni prima.

È il 4 aprile, infatti, quando la Corte di Cassazione rigetta il ricorso dei difensori dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti, confermando quanto statuito dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria: l’ex sindaco della città dello Stretto è colpevole dei reati di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico e va condannato a 4 anni e 7 mesi di reclusione per il cosiddetto “Caso Fallara”.

 

La notizia giunge in serata, come prassi per i giudizi della Suprema Corte. Reggio sta quasi iniziando a sonnecchiare, quando viene ridestata di colpo dal lancio d’agenzia che non lascia spazio a dubbi. In pochi minuti i social si riempiono di commenti e post. Mentre piazza Italia, il luogo dove tutto è iniziato, rimane desolatamente vuota. Il portone del municipio è chiuso perché l’ora è tarda e la leggera brezza che soffia sullo Stretto permette ai pensieri di viaggiare più veloci nei percorsi della memoria.

Perché quella capitolazione giudiziaria ha radici ben più profonde e porta con sé storie di potere, d’antiche relazioni incancrenite dal tempo, di vite vissute sul filo del rasoio e poi finite all’improvviso, non senza misteri ancora da sciogliere. È la storia di una stagione politica, di un’idea di città e di governo. È la storia del “modello Reggio”, assurto ad esempio di virtuosa amministrazione di centrodestra, per poi finire nella polvere delle più classiche vicende di pessima gestione della cosa pubblica. Ma è anche una storia che s’intreccia con bombe e servizi segreti.

 

Giuseppe Scopelliti attraversa tutte queste fasi con una velocità e speditezza di certo non comuni. Perché nel 2002, poco dopo la drammatica morte di Italo Falcomatà, Scopelliti sconfigge proprio il delfino del “professore”, Demetrio Naccari Carlizzi, diventando sindaco di Reggio Calabria. Sarà una sconfitta mal digerita dal popolo di centrosinistra, sebbene proprio da quello sfidante battuto arriverà, nove anni dopo, la cannonata che aprirà lo squarcio mortale sulla vita politica di Scopelliti.

Dai fischi al finto attentato

Il sindaco giovane non inizia benissimo. I suoi primi anni sono caratterizzati da un rapporto conflittuale con la città, tanto da essere fischiato anche in diretta nazionale. Poi, il 6 ottobre del 2004, cambia tutto. Nei bagni di palazzo San Giorgio, sede dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria, vengono trovati tre panetti di tritolo. Sono le 22.30 circa. Scatta l’allarme per la sicurezza del primo cittadino che viene messo sotto scorta, misura che rimarrà intatta fino alla decisione della Corte di Cassazione. Da quel momento l’ascesa politica di Scopelliti sarà inarrestabile. Il tempo e le indagini, tuttavia, diranno qualcosa di sconcertante: quel tritolo trovato al Comune di Reggio fu segnalato dai servizi segreti tanto che, a detta dell’allora procuratore aggiunto della Dna, Alberto Cisterna, la Procura nazionale antimafia seppe di quei fatti una settimana prima che accadessero. I successivi approfondimenti sui rapporti fra gli 007 che lavorarono al caso, fecero emergere contatti con “lo spione” Giovanni Zumbo, ex commercialista ed amministratore giudiziario, ma soprattutto in contatto tanto con pezzi di Stato (vedi servizi segreti), quanto con le più potenti cosche di ‘ndrangheta. Cresciuto sotto l’ala dei De Stefano, Zumbo sarà l’uomo che, secondo quanto emerso dai processi, riceverà la soffiata sul tritolo a palazzo San Giorgio. Un attentato “finto”, dirà a distanza di anni il procuratore Cafiero de Raho, nei giorni in cui l’inchiesta “Mammasantissima” svela le decisioni gli invisibili della ‘ndrangheta, come Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, nello scegliere Scopelliti come cavallo vincente su cui puntare per continuare a dirigere le strategie politico-criminali.

Mister 70% e la scalata alla Regione

Giova soffermarsi su quel periodo storico. Perché è il momento in cui Peppe Scopelliti mette in cassaforte un consenso che lo porterà alle successive elezioni del 2007 ad ottenere un plebiscito: il 70% delle preferenze contro uno sfidante, Eduardo Lamberti-Castronuovo, che non tacerà di connivenze anche interne al centrosinistra per far trionfare il sindaco di destra.

Scopelliti scala le classifiche del gradimento, diventando uno dei sindaci più amati d’Italia. Lo fa grazie e soprattutto ad una strategia semplice: investire tutto, anche più del consentito, in eventi, feste, concerti, dando all’esterno l’immagine di una città turistica d’eccellenza. Celebri sono le passeggiate di vip durante la notte bianca, costate decine di migliaia di euro, o le grandi somme spese per realtà come Rtl. Che, a dirla tutta, se inserite in un organico programma politico di crescita sana e sostenibile potrebbero anche essere veicolo di promozione; ma se create come eventi singoli non fanno altro che creare una immagine di plastica di una città che, mentre ballava, si divertiva e beveva cocktail osservando la luna abbassarsi sui rilievi della Sicilia, iniziava inesorabilmente quella caduta verticale che l’ha condotta sull’orlo del dissesto economico finanziario.

Sta di fatto che Scopelliti diventa “Peppe dj”, conia slogan come “Divertiti, sei a Reggio” ed entra nelle grazie dei big nazionali del centrodestra che vedono in lui il nuovo governatore. Reggio, pensano in molti, avrà finalmente il suo presidente della Regione. Ed in effetti è così. Scopelliti conquista anche palazzo Alemanni, con tanto di giro trionfale in un “Granillo” stracolmo che, a stento, però, gli perdonerà l’aver indossato la sciarpa del Catanzaro. Ma tant’è. Inizia la sua avventura da presidente della Regione. Siamo nel marzo 2010.

Scoppia il caso Fallara

La luna di miele dura solo pochi mesi. L’estate del 2010, infatti, è una delle più calde sotto il profilo politico, nel territorio reggino. A Scopelliti succede Peppe Raffa, prima vicesindaco. I rapporti fra i due non sono mai stati idilliaci, ma si deteriorano quando il successore di Scopelliti scopre che a lui non saranno mai lasciati i poteri per la gestione del Decreto Reggio. Il governatore in persona decide di continuare ad occuparsene da solo. Si vive un’estate rovente, dove la crisi al palazzo di città è palpabile. Quella contraerei che era il centrodestra, si rivela un veliero poco abituato a stare in balia delle onde. Ma è una bonaccia rispetto allo tsunami che sta per abbattersi sul sistema che ha retto le sorti reggine nell’ultimo decennio.

 

Demetrio Naccari Carlizzi, ossia colui che Scopelliti sconfisse nella prima elezione a sindaco del 2002, deposita, assieme al consigliere Sebi Romeo, un esposto alla Procura della Repubblica. Dentro c’è una vera e propria bomba pronta ad esplodere: è il dossier del “caso Fallara”, ossia autoliquidazioni che l’allora dirigente al settore Finanze e tributi del Comune faceva per se stessa, in violazione di qualunque normativa di settore. Ma ci sono anche liquidazioni illegittime al compagno di lei, nonché una sfilza di falsificazioni del bilancio comunale. A Palazzo San Giorgio scoppia il caos: il vicesindaco Raffa sospende la Fallara, lei prova a difendersi con le unghie e con i denti. Accusa Naccari e Romeo e, senza giri di parole, anche Peppe Raffa. I cittadini iniziano a comprendere che quella città di plastica, costruita su un’immagine assolutamente sovradimensionata e finta, sta rivelando il suo vero volto: il Comune fa fatica a pagare le imprese, i fornitori. Persino i dipendenti rischiano di non ricevere lo stipendio. Nel mese di dicembre 2010, però, si consuma probabilmente l’atto più tragico di un’intera stagione.

 

Orsola Fallara convoca una infuocata conferenza stampa in cui appare più agguerrita che mai: «Da domani Naccari e Raffa saranno responsabili di quel che mi succederà», rimarca con forza. Per poi chiedere scusa a Scopelliti: «È un politico con la “P” maiuscola”, so di aver sbagliato e non mi risponde più al telefono». La stessa sera, qualcuno forza lo sportello della sua auto e preleva dei documenti. Qualche ora più tardi, la donna raggiunge a bordo della sua auto il porto di Reggio Calabria dove ingerisce dell’acido muriatico. Riesce a chiamare i soccorsi, arriva in ospedale ma è troppo tardi. Spira dopo qualche ora, rendendo vano l’intervento chirurgico d’urgenza cui è sottoposta. Muore così la protagonista incontrastata di quel “Modello”, nel quale era lei la vera figura in grado di gestire le finanze pubbliche. Per Scopelliti è un colpo durissimo: la sua amica Orsola l’ha tradito, certo, ma soprattutto si è tolta la vita. Un prezzo troppo alto, qualunque fosse stato il reato commesso.

 

La vicenda scuote fortemente la città che s’interroga sui tanti misteri che circondano quel gesto estremo. Era veramente da sola, quella notte, Orsola Fallara? Fece tutto autonomamente o qualcuno la costrinse? I fascicoli aperti dalla Procura reggina sono archiviati dopo qualche tempo: “suicidio” sentenzia l’ufficio guidato da Giuseppe Pignatone. Lo stesso ufficio che, dopo qualche tempo, iscrive Scopelliti sul registro degli indagati con le accuse di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico. Il governatore replica colpo su colpo. Appare sicuro di se stesso. Anche dopo il rinvio a giudizio continua a professare la sua innocenza. Ma l’istruttoria dibattimentale fa emergere, anche grazie alla perizia degli ispettori del Mef, una realtà sconcertante nel metodo di gestione delle finanze pubbliche. Alla fine del primo grado, il Tribunale presieduto da Olga Tarzia, lo condanna a sei anni di reclusione, uno in più di quello chiesto dalla Procura. Una condanna durissima che ha immediate conseguenze.

La fine della corsa alla Regione

Scopelliti, dopo qualche ora di riflessione, decide di dimettersi. Troppo forti le pressioni su di lui. È un gesto responsabile e di cui gli va dato atto. Perché un politico deve anche capire quando è il momento di fare un passo indietro, ben prima che arrivi una legge a sospenderti.

 

È in quel frangente che si consuma anche una frattura non indifferente con colui il quale lo ha difeso e che Scopelliti ha contribuito a portare in Parlamento: il senatore Nico D’Ascola. Fra i due viene scavato un solco profondo. Ma non è il solo. Tanti di quelli che lo osannavano nel momento di gloria iniziano a sfilarsi alla spicciolata. Tanti, ma non tutti. Ci sono i fedelissimi che continuano a credere nella sua innocenza. Nello stesso anno, Scopelliti tenta una carta a sorpresa: passa nelle fila di Ncd e si candida alle Europee, senza essere eletto. È la sua ultima competizione elettorale. Così, quelle granitiche certezze d’innocenza, vengono scalfite ancor di più dalla decisione dei giudici d’Appello: Scopelliti è colpevole, confermano. Ed abbassano la condanna a 5 anni di reclusione. L’ex governatore lascia il palazzo di piazza Castello. Il numero delle persone a lui vicine si assottiglia ancora. Il suo volto scuro nasconde tutta la preoccupazione per una vicenda che rischia seriamente di farlo andare in cella. Si ritira allora dalla vita politica attiva, salvo qualche rara apparizione in veste di “grande elettore”.

Dall’appoggio a Salvini alla condanna in Cassazione

Lo fa, ad esempio, quando prepara il terreno per Matteo Salvini e la Lega in occasione delle ultime elezioni politiche. Innegabile la sua “mano” dietro il successo dell’attuale ministro dell’Interno in provincia di Reggio Calabria. Anche i suoi fedelissimi, per lungo tempo, si fanno vedere alle manifestazioni della Lega e sostengono “il capitano”. Ma si tratta dell’ultimo tratto di strada prima del baratro. Il terremoto segna magnitudo alta. Talmente tanto da segnare un solco insormontabile fra Scopelliti e la libertà.

È il 4 aprile 2018 e, come detto in apertura, in serata arriva la doccia gelida per tutti gli “Scopelliti’s boys”. Condanna a 4 anni e 7 mesi di reclusione. Non si può sperare neppure in una misura alternativa al carcere. Così, mentre tutti iniziano a scommettere sulla data in cui arriverà il provvedimento di carcerazione della procura generale, Scopelliti sorprende ancora una volta e gioca d’anticipo: il mattino seguente, poco dopo l’alba, si presenta autonomamente al carcere di Arghillà: «Sono Giuseppe Scopelliti». Un gesto, anche questo, che va riconosciuto in un’epoca nella quale spesso si tende a sfuggire alle decisioni della Giustizia.

Scopelliti unico a pagare

D’allora, l’ex governatore è rinchiuso in cella. Chi lo ha visto lo descrive come provato, ma impegnato in molteplici attività assieme agli altri detenuti. Alcuni suoi amici fedeli continuano a contare i giorni che lo separano dalla fine dell’espiazione della pena, mostrando almeno una coerenza di fondo nel supporto al proprio leader. Ma l’immagine di politico è ormai annebbiata. Ed è questo che ci consegna il 2018: la storia di un uomo nato per fare politica, scelto per sedere sulle poltrone più importanti, ma caduto vertiginosamente, forse vittima della sua stessa smania di apparire il politico perfetto. E il 2018 ci consegna anche un’altra importante verità: Giuseppe Scopelliti è, di fatto, l’unico ad aver pagato un prezzo altissimo. E se è vero che i giudici lo hanno dipinto come il vero “regista” delle falsificazioni di bilancio, non potendo immaginare che egli non ne fosse a conoscenza e non avesse agito di concerto con la Fallara, è però altrettanto vero che al tavolo delle decisioni hanno preso posto in tanti. Nessuno, però, tranne Scopelliti, ha pagato. Ora, si attende che l’ex governatore termini di scontare il suo debito con la giustizia e abbia l’accesso alle misure alternative. L’interrogativo di fondo è per il futuro: finita di scontare la condanna e la successiva interdizione, quale sarà il futuro di Giuseppe Scopelliti? Tornerà a fare politica o rimarrà un capitolo definitivamente chiuso, portando nel cassetto dei ricordi il suo agognato modello?