Il nome Dario Antonucci probabilmente non rievoca ai più alcun ricordo, eppure questo vecchietto di 95 anni, residente nel Tennessee ma calabrese fino al midollo, è stato tra i maggiori protagonisti di un evento di portata mondiale che divide la storia tra il primo e il dopo: l'uomo per la prima volta sulla luna, cosa che accadde esattamente 50 anni fa. Quel giorno, il 20 luglio 1969, Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, e 19 minuti più tardi Buzz Aldrin, approdarono sul satellite che da sempre fa da sfondo a pensieri profondi e storie d'amore, mentre Michael Collins controllava il modulo di comando Columbia.

A capo della squadra che controllava i parametri di bordo

Dario Antonucci, come il resto del mondo, seguì la storica impresa in diretta, ma molto più da vicino, perché quell'uomo di 45 anni di origini cosentine (i genitori erano di San Marco Argentano) aveva progettato il sistema che misurava e controllava tutti i parametri di bordo della navicella spaziale su cui viaggiavano gli astronauti. Non solo, era a capo di una squadra di selezionatissimi professionisti composta da 13 tecnici e 4 ingegneri. Fu il giorno del successo, il giorno più emozionante della sua vita dopo la nascite delle sue figlie. Oggi parla di quel ricordo con la stessa emozione, lo si evince da una recente intervista rilasciata al quotidiano La Repubbblica, a cui, a proposito di riconoscimenti alla carriera dice: «Il mio premio più grande è stato riuscire a realizzare quel progetto, che è stato un grande successo per tutta l'umanità». Da allora seguì tutte le spedizioni lunari. Tutte. Anche la drammatica missione dell'Apollo 13, in cui l'equipaggio, di cui Dario faceva parte, si salvò per miracolo.

Un amore nato tra i banchi di scuola

L'amore di Dario per lo spazio cominciò presto. Gliene parlò per la prima volta un professore ebreo che, trovandosi ai tempi del fascismo, veniva spesso emarginato. Ma dall'aria razzista che si respirava a scuola Dario non ne voleva sapere, voleva solo imparare tutto ciò che c'era da sapere sull'universo. Rimase incantato guardando una simulazione in cielo del suo maestro. Aveva un animo dolce e sensibile, reso fragile dalla morte di sua madre, sopraggiunta quando il futuro scienziato spaziale aveva appena 11 anni.

Il licenziamento, poi il successo

Il tempo passò in fretta e per Dario arrivò la parentesi dell'arruolamento durante la guerra, durante la quale fu impiegato come radio operatore. Tornò nel '46 e si iscrisse ai corsi serali di ingegneria, perché di giorno lavorava. Poi la sua azienda si trasferì ma lui non volle lasciare suo padre da solo e si licenziò. Quel gesto di generosità fu la sua fortuna, perché, a piccoli passi e con qualche difficoltà, nel 1960 strappò un contratto alla Grumman Aerospace Corporation, il colosso industriale che aveva prodotto i caccia per il secondo conflitto mondiale. La svolta definitiva arrivò nel 1962, quando l'azienda firmò con la Nasa un contratto per realizzare la strumentazione del Lem, il modulo lunare. Il resto è storia. La sua, in particolare, è contenuta nell'autobiografia “Dario – America’s gift to an immigrant”, pubblicata nel 2011.

L'omaggio al Kennedy Center

Oggi una delle sue figlie sarà al Kennedy Center di Cape Canaveral, in Florida, per rappresentarlo alle cerimonie commemorative della missione Apollo 11. Quest'anno le autorità americane renderanno omaggio a lui e a tutti coloro che resero possibile l'impresa.