Omicidio stradale colposo. È questa l'ipotesi di reato formulata dalla Procura di Lamezia Terme nei confronti di cinque indagati accusati di aver causato la morte di Stefania Signore e dei suoi due figli, quando il 4 ottobre del 2018 vennero travolti da una «onda anomala» che investì l'auto a bordo della quale viaggiavano i tre diretti a San Pietro a Maida. Il sostituto procuratore, Emanuela Costa, a cui è stato affidato il fascicolo ha, infatti, iscritto nel registro degli indagati Antonio Condello, 51 anni di Curinga; Floriano Siniscalco, 51 anni di Girifalco; Francesco Paone, 61 anni di Lamezia Terme; Giovanni Antonio Lento, 61 anni di Lamezia Terme e Cesarino Pascuzzo, 63 anni di Lamezia Terme.

L'onda anomala che travolse l'auto

Per tutti l'accusa è di aver causato la morte della giovane donna - all'epoca dei fatti Stefania Signore aveva solo 30 anni e dei suoi due figli Christian e Niccolò, di 7 e di 2 anni - avvenuta per «insufficienza cardiocircolatoria acuta secondaria ad asfissia meccanica violenta da annegamento». Secondo la ricostruzione della Procura lametina, il 4 ottobre di tre anni fa un quantitativo di acqua meteorica mista a fango e detriti proveniente da alcuni terreni circostanti, dopo essersi accumulata in una depressione formava una onda anomala che riversandosi sulla strada provinciale 113 investiva l'Alfa Romeo Mito a bordo della quale viaggiavano Stefania e i suoi due figli.

I terreni adiacenti alla Sp 113

I terreni in questione risultano essere di proprietà di Antonio Condello, il quale «per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia» ometteva di mantenere le ripe del proprio fondo in modo tale da evitare di scaricare detriti e terra sulla strada provinciale 113; la stessa attraversata da Stefania Signore e dai suoi due figli il 4 ottobre del 2018. Inoltre, per il sostituto procuratore, Emanuela Costa, Antonio Condello avrebbe scaricato, senza regolare concessione, sulla Sp 113 quantitativi di acqua meterica mista a fango e detriti che si sono accumulati in una depressione del terreno formata in corrispondenza delle tre linee parallele del metanodotto a causa del taglio del terreno e del passaggio di mezzi agricoli.

I funzionari della Provincia

Nel registro degli indagati ci finiscono però anche quattro funzionari della Provincia di Catanzaro: Floriano Siniscalco, dirigente del settore Trasporti e Viabilità; Francesco Paone, direttore del reparto settore Viabilità e Trasporto; Giovanni Antonio Lento e Cesarino Pascuzzo, in qualità di agenti di vigilanza stradale del reparto settore Viabilità e Trasporto. Siniscalco e Paone sono accusati di non aver effettuato alcun intervento che accertasse la presenza di sversamenti laterali sulla Sp 113, dopo gli interventi di manutenzione straordinaria del 1999 e del 2006 finalizzati alla realizzazione di cunette per la raccolta e lo smaltimento della acque meteoriche. Non avrebbero, inoltre, proceduto ad effettuare la regimentazione della acque meteoriche che provenivano dai terreni adiacenti segnalando ai competenti organi di polizia le violazioni e omettendo la predisposizione di ulteriori controlli per accertare la persistenza del problema.

I controlli dopo la tragedia

Verifiche che sarebbero state realizzate solo dopo il 4 e il 5 ottobre del 2018 attraverso una «segnalazione di problematiche smaltimento e deflusso delle acque su aree limitrofe alle strade provinciali». Il documento porta la firma di entrambi gli odierni indagati. Lento e Pascuzzo, agenti della vigilanza stradale, avrebbero omesso invece di segnalare il persistente deflusso di acque meteoriche e detriti dai terreni limitrofi, tra cui quello adiacente alla Sp 113.

Acqua alta un metro

Queste, secondo la ricostruzione della Procura lametina, le cause all'origine della morte di Stefania Signore e dei suoi due figli, avvenuta tra le 21 e le 23 di quel tragico 4 ottobre, e determinata anche dall'abbandono del mezzo «avvenuto verosimilmente - annota il sostituto procuratore - per l'impossibilità della donna di controllare e governare l'automobile investita nella parte anteriore da un'onda anomala di acqua, fango e detriti dell'altezza di un metro e con una pressione tale da penetrare all'interno dell'abitacolo attraverso le prese d'aria e trascinare il mezzo a valle nello stesso senso di scorrimento dell'acqua corrente».

Inghiottiti e trascinati a valle

La giovane donna «temendo di rimanere intrappolata dentro e di annegarvi» abbandonava l'auto - anche su suggerimento del marito - ma una volta uscita «la spinta delle acque e dei detriti provocano la perdita dell'equilibrio» della donna e dei due figli che «venivano travolti e inghiottiti dalla massa liquida che li trascinava a valle per circa 400 metri lungo la Sp 113 fino ad un dosso a causa del quale dopo essersi incanalati nel pozzo di raccolta della acque venivano ulteriormente trascinati nel dosso che costituisce uno degli affluenti del fiume Cantagalli e lungo il fiume dove poi venivano ritrovati i corpi, ormai privi di vita».