Con la tesi dal titolo “Ergastolo ostativo - percorsi e strategie di sopravvivenza”, ieri si è laureato in Sociologia, nella sala teatro del carcere di Catanzaro, Salvatore Curatolo, sessantacinque anni, condannato all’ergastolo ostativo per reati di mafia, conseguendo il voto di 110 e lode. A darne notizia è il Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Ventotto anni ininterrotti di reclusione, di cui dodici in regime di 41 bis, hanno “costretto” Salvatore Curatolo a studiare, «perché mi sentivo in imbarazzo con le mie figlie che studiavano sempre», racconta candidamente Curatolo, durante la discussione della sua tesi. «E così, in carcere prima ho preso la licenza elementare, poi la media, quindi, il diploma ed oggi realizzo un sogno inimmaginabile laureandomi».  

Il relatore della tesi, Charlie Barnao, docente di Sociologia all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro e delegato del rettore per il “Polo universitario per studenti detenuti”, spiega il metodo dell’autoetnografia al centro di questo lavoro, partito dalla descrizione delle regole, dei ruoli sociali, della dimensione culturale delle carceri: «Il metodo dell’autoetnografia - afferma il professore - rientra nell’ambito più generale dell’etnografia. Ma mentre con l’etnografia il ricercatore studia le “culture altre” per comprendere i soggetti al centro della sua ricerca, con l’autoetnografia il ricercatore è nel contempo osservatore e osservato, l’autore e il focus della storia».

«In particolare - prosegue il docente dell’ateneo catanzarese - nella tesi di Curatolo emerge il ruolo centrale dell’istruzione. Per quest’uomo che non aveva neanche la quinta elementare, studiare in carcere e arrivare alla laurea in sociologia è stato un modo per avvicinarsi con nuovi argomenti di discussione alle persone a lui più care».

«Una bella storia di speranza» secondo il Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Agostino Siviglia, che ha partecipato alla sessione di laurea. «Una bella storia che proviene dal carcere - continua Siviglia - che non è solo luogo di esclusione o di violenza, come purtroppo i fatti di santa Maria Capua Vetere ci hanno mostrato, ma che grazie alla grande professionalità come quella della direttrice dell’istituto penitenziario di Catanzaro, Angela Paravati, nonché della cruciale collaborazione con l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, diviene anche e soprattutto luogo di formazione e di opportunità. Del resto - conclude Siviglia - come ha augurato il Garante nazionale Mauro Palma, intervenuto all’evento con un video messaggio, quelle due brutte parole contenute nel titolo della tesi, “ostativo” e “sopravvivenza”, anche in carcere, possono trasformarsi in “opportunità” e “vita”».