C'è la croce ricavata dal fasciame della barca affondata con il suo carico di migranti a guidare il corteo verso la spiaggia di Steccato di Cutro. A portarla, alcuni dei parenti delle vittime arrivati fino in Calabria nella speranza di recuperare almeno il corpo di chi era stato loro fratello, loro figlio, loro amico.

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Poco prima delle 14, il piazzale che porta verso il mare è già pieno come un uovo: in migliaia hanno accolto l'invito a partecipare a questa marcia pacifica e colorata per stringersi alla comunità migrante - che sulla rotta turca ha pagato un conto di vite umane come mai registrato prima in Calabria - e a quella del posto, che già dalle prime ore di domenica 26 febbraio si è rimboccata le maniche per portare una mano d'aiuto alle vittime del naufragio.

Una marcia solare, dopo i giorni della disperazione e del dolore, che è riuscita a coinvolgere intere famiglie, calate in questo pezzetto di Calabria un po' da tutta Italia per chiedere basta morti nel Mediterraneo. Una marcia partita dal basso, neanche lontana parente del circo mediatico governativo arrivato giovedì scorso in paese per un consiglio dei ministri che si ricorderà più per l'inaspettata zona rossa in un paesino di 9mila abitanti, che per l'ennesimo inasprimento delle norme sull'immigrazione. 

Lungo la stradina che taglia in due la frazione marina del paese, il lungo serpentone umano comincia a muoversi poco dopo le 14. Qualche slogan, tante bandiere: c'è l'Italia stanca delle proprie spiagge trasformate in cimitero a Steccato. Ci sono i gruppi di migranti che dopo il viaggio lungo il Mediterraneo sono rimasti, negli anni, a vivere in Calabria; ci sono le associazioni che si occupano di integrazione a terra e quelle che il Mediterraneo lo solcano tutti i giorni per salvare uomini, donne e bambini dalla furia del mare. E poi i sindaci di tanti paesi della fascia jonica, che negli ultimi venti anni, con i flussi migratori della rotta turca hanno imparato a farci i conti. E poi ci sono tanti, tantissimi calabresi, che non si sono fatti scappare l'occasione di manifestare rabbia e sgomento per una tragedia che, probabilmente, si poteva evitare.

«L'unica cosa importante è che si resti umani - dice il parroco di Botricello, il paesino accantona Steccato sulla cui spiaggia sono stati rinvenuti alcuni dei cadaveri del naufragio - oggi è il giorno del dolore e del ricordo, ma da domani tocca rimboccarsi le maniche senza mai perdere di vista l'obiettivo di restare umani». 

La spiaggetta in cui la testa del corteo arriva quando la coda è ancora molto lontana non riesce a contenere tutte le persone intervenute, tocca allargarsi lungo la battigia e le dune. A pochi metri dal mare, la croce di legno viene piantata nella sabbia, mentre tutto intorno il corteo si raccoglie in ordine per qualche minuto di riflessione. A poche decine di metri di distanza intanto la macchina dei soccorsi, che non si è mai fermata in queste ultime due settimane, continua nella ricerca di altri corpi. Gli ultimi due, un uomo e una bambina, saranno recuperati proprio durante la manifestazione. Quando il corteo si scioglie, il sole non è ancora tramontato: resta solo il tempo di lasciare andare la corona di gigli bianchi tra le onde di quel pezzo di mare testimone suo malgrado della più grande tragedia migrante della Calabria.