È un quadro particolarmente desolante quello che viene fuori dall’operazione “Alchemia”, con riferimento alla posizione del senatoreNel corso della conferenza stampa tenutasi questa mattina nella sede della Procura di Reggio Calabria, il procuratore Federico Cafiero de Raho, l’aggiunto Gaetano Paci, il questure di Reggio, Raffaele Grassi e gli altri rappresentanti dei vari centri della Direzione investigativa antimafia di Reggio, Roma e Genova hanno tracciato un primo quadro di una inchiesta, partita nel 2009, e che ha visto la ‘ndrangheta tentare di condizionare anche l’opinione pubblica, infiltrandosi addirittura nei movimenti “Sì Tav”, al fine di arrivare alla realizzazione di quell’opera ritenuta strategica per sfamare gli interessi economici delle Raso-Gullace-Albanese di Cittanova, con profonde ramificazioni nel Settentrione d’Italia.

 

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Ancora guai per il senatore

Sono stati i due magistrati a delineare la figura, ancora una volta, del senatore Antonio Caridi, nuovamente finito sotto inchiesta. Questa volta, però, il giudice per le indagini preliminari, pur riconoscendo il gravissimo quadro indiziario, non ha inteso emettere una misura cautelare, poiché la contestazione è stata ritenuta assorbita, quanto alle esigenze cautelari, dall’inchiesta “Mamma Santissima”. Secondo quanto hanno ricostruito gli inquirenti, addirittura, il senatore, in occasione della tornata elettorale delle regionali 2010, sarebbe stato presente nel momento in cui uno degli arrestati, Jimmy Giovinazzo, chiese ai suoi dipendenti di votare Caridi alle elezioni. Ma non lo fece con serenità e calma. No, lo intimò pena l’eventuale licenziamento. Insomma, dipendenti e famigliari avrebbero dovuto apporre il nome di Caridi sulla scheda per continuare a conservare il posto di lavoro.

 

La minaccia al dipendente: “O voti Caridi oppure sei licenziato!”

 

È stato posto in luce, fra l’altro, come l’attività del politico di centrodestra sia stata completamente asservita agli interessi della cosca. Non solo incontri occasionali, non solo piccoli favori, ma proprio un modo di operare totalmente piegato al volere della ‘ndrangheta. Questo è quanto contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare a ripreso sia dal procuratore Cafiero de Raho, che dal suo aggiunto Gaetano Paci.

 

Galati? Non ci sono gravi indizi

Discorso diverso, invece, per quanto concerne Pino Galati. Nei suoi riguardi, riferiscono gli inquirenti in conferenza stampa, il gip non ha ritenuto sussistente il quadro di gravità indiziaria per un episodio di corruzione aggravato dall’aver favorito la ‘ndrangheta. «Ovviamente – spiega Paci – noi continueremo ad indagare su questo punto e cercare ulteriori riscontri». La ricostruzione degli investigatori ha portato a ritenere che la cosca Raso-Gullace-Albanese, al fine di ottenere lo sblocco dei lavori edili sospesi, perché eseguiti in una zona vincolata nel parco naturale Decima Malafede di Roma, nonché per ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici relativi a lavori di trasporto e smaltimento dei rifiuti nel comune di Roma, contattò proprio Galati, il quale avrebbe compiuto atti contrari ai doveri del suo ufficio. Ribadiamo, tuttavia, che la richiesta di arresto è stata rigettata per mancanza di gravità indiziaria.

 

Il gip respinge la richiesta d’arresto per Giuseppe Galati

 

D’Agostino non è il proprietario di “Stocco&Stocco”?

Ma nel calderone dell’inchiesta finisce anche il vicepresidente del consiglio regionale, Francesco D’Agostino, oggetto di perquisizione nella giornata odierna. Nei suoi riguardi viene mossa l’accusa di fittizia intestazione di beni. Secondo la Dda, infatti, il reale titolare della ditta “Stocco&Stocco” non è il politico della Piana di Gioia Tauro, ma proprio Jimmy Giovinazzo, Francesco Gullace e Girolamo Raso (deceduto). Un’accusa piuttosto pesante per un politico che ha raggiunto un posto di prestigio all’interno di palazzo Campanella.

 

L'operazione Alchemia scuote Palazzo Campanella

 

Infine, emerge anche uno spaccato preoccupante, in quanto diversi funzionari dell’Agenzia delle entrate e delle commissione tributarie sarebbero stati “sensibili” nei riguardi dei clan, anche grazie alla mediazione del senatore Caridi, facendo sì che non fossero irrogate pesanti sanzioni.


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