«La mia vita è distrutta. Io chiedo solo giustizia per mio figlio perchè lui merita giustizia. Io solo questo chiedo, non chiedo altro. Non chiedo soldi ma solo giustizia. Siamo una famiglia distrutta, non viviamo più. Da quattro anni solo lacrime, lacrime e basta». Quattro anni non sono bastati a lavare via il ricordo di un figlio perso nel sangue di una vendetta. Rosa Arcuri lo accarezza ancora quel ricordo: nelle foto rimaste di Francesco, barbaramente ucciso nella macelleria di famiglia e nella camera intatta così come lui l'ha lasciata il 14 aprile del 2015. Mentre a cinque chilometri di distanza fa ritorno nella sua abitazione, Evangelista Russo, il presunto killer che, lasciato il carcere ha ottenuto la misura meno afflitiva degli arresti domiciliari. «Siamo rimasti molto delusi - afferma la sorella di Francesco Rosso, Marianna - siamo amareggiati, mortificati. Per l'ennesima volta mio fratello è stato ucciso perchè lui merita giustizia. È un ragazzo fantastico, un ragazzo buono che è morto ingiustamente, nel peggiore dei modi». 

 

Una scarcerazione avvenuta dopo appena nove mesi dagli arresti e che scava nel solco profondo di un dolore mai sopito. Ma non c'è solo sete di giustizia negli occhi della famiglia Rosso, piuttosto il timore che il sangue possa tornare a scorrere ancora. «Noi siamo a rischio - ammette lo zio, Francesco Arcuri - perchè Russo può tornare a ripetere quello che ha già fatto in passato e merita di stare in carcere fino all'ultimo giorno della sua vita».

È Danilo Monti, reo confesso e tra gli esecutori materiali dell'omicidio a metterlo nero su bianco nei verbali di collaborazione avviata a partire dallo scorso ottobre. Trentamila euro e un posto di lavoro sarebbero stati offerti a Vincenzo Sculco, nell'estate successiva all'omicidio per far fuori anche il padre di Francesco, Antonio Rosso. «Io temo per la mia vita - conferma - ma anche per la vita degli altri. Chiediamo rispetto da questa gente che dovrebbe difenderci e aiutare e invece non ci aiuta. Dopo nove mesi portarlo a casa è una vergogna. Mi sento umiliato io stesso». I familiari hanno così voluto lanciare un appello alla magistratura: «Speriamo veramente in una giustizia vera, che i giudici possano mettere una mano sulla propria coscienza e pensassero bene a quello che bisogna fare perchè noi oggi viviamo ancora di nuovo nel terrore».