A inveire contro la professionista la parente di paziente ricoverato nell’ospedale reggino che pretendeva il trasferimento del congiunto. La dottoressa: «Fatto gravissimo per i danni fisici, ma soprattutto per quelli morali». La vicenda denunciata ai carabinieri
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«Mi sento mortificata. Più che per i danni fisici sono quelli psicologici che mi fanno sentire mortificata. Per me il lavoro è la vita. Ho sempre lavorato con il massimo piacere e con tutta me stessa, queste cose fanno male». Ha la voce rotta dall’emozione e dal dispiacere la dottoressa Isabella Tarsia, in servizio al reparto di “Medicina” dell’ospedale “Tiberio Evoli” di Melito Porto Salvo. La professionista è stata aggredita da una 40enne, originaria di Melito, nuora di un paziente ricoverato la quale pretendeva che il congiunto venisse trasferito nel nosocomio di Reggio Calabria o in quello di Locri. Una pretesa infondata visto che l’uomo era stato ricoverato il pomeriggio precedente e non necessitava di un trasferimento in quanto gli stavano prestando tutte le cure necessarie.
«Io stavo solo difendendo una collega- ci dice la dottoressa Tarsia- non conoscevo questa signora né lei conosceva me. Sono solo intervenuta per dire a questa donna di abbassare la voce perché urlava e semplicemente le ho detto di abbassare perché eravamo in un ospedale dove ci sono delle persone che stanno male e non si può fare il mercato. Non appena le ho detto questo mi ha tirato uno schiaffo». Un gesto grave, gravissimo che sottolinea come i tanti sanitari della provincia reggina sono costretti a lavorare in condizioni di disagio e stress psico-fisico. Non è infatti la prima volta che i medici vengono aggrediti dai familiari dei pazienti. «È stata un reazione spropositata che non mi aspettavo assolutamente; io sono sempre stata abituata a parlare con la bocca. Nella mia mentalità- sottolinea la professionista- non esiste alzare le mani, non ho mai preso né uno schiaffo dai miei genitori né l ho dato ai miei figli. Noi siamo delle persone estremamente pacifiche». Il gesto però non si è limitato ad uno schiaffo; la donna infatti avrebbe anche tirato dei calci all’addome alla dottoressa Tarsia che subito ha richiesto l’intervento dei Carabinieri e ha sporto denuncia.
«È un fatto gravissimo e sottolineo non tanto per i danni fisici, ma soprattutto per quelli morali- continua-perché non è bello ritrovarsi in mezzo a certa gente che non sa usare determinati modi. Ho 30 anni di servizio alle spalle e non mi era mai successo nulla del genere. Ho sempre avuto tante soddisfazioni professionali e un ottimo rapporto con le persone, ma certe volte ci imbattiamo in soggetti il cui livello culturale è bassissimo. Non appena sono riuscita a divincolarmi ho chiamato i Carabinieri; ho agito solo per vie legali, senza reagire».
È una situazione davvero delicata quella che sta attraversando la donna e che pone in luce le continue difficoltà di medici e operatori sanitari della provincia reggina. Al reparto, dove si è registrata l’aggressione, non c’era infatti nessun vigilante né addetto alla sicurezza. Una circostanza che tanti medici hanno più volte sollevato ed evidenziato ai vertici ospedalieri che di fatto li lascia in balia dei disagi e delle difficoltà. «Purtroppo gli orari delle visite- ci racconta la Tarsia- non vengono rispettati, la gente interrompe continuamente il nostro lavoro. Mentre noi visitiamo abbiamo i corridoi pieni di persone che chiacchierano. E queste persone si sentono autorizzate a interromperci dal nostro lavoro. Non abbiamo neanche la libertà di andare in bagno perché anche qua ci seguono. Io sono un lavoratore come tutti gli altri e io, come i miei colleghi, ho il diritto lavorare in piena serenità a maggior ragione che io lavoro con la vita della gente».
Chiunque infatti può entrare al nosocomio melitese visto che ci sono lacune nella sicurezza e nella vigilanza. Una situazione denunciata in più sedi non solo dai sanitari, ma anche dai responsabili della struttura che di fatto non hanno mai visto implementare il personale di questo settore e che oggi registrano un altro brutto episodio dove a pagarne le spese è un medico il quale, durante il proprio delicato lavoro, si è visto aggredire fisicamente e adesso è costretto a stare in casa, in convalescenza stabilita in dieci giorni, sotto un evidente stato di shock.