Nonostante una malattia degenerativa lo costringa alla quasi totale immobilità, tutto il suo corpo esprime, al contrario, vitalità. Sorride Mimmo Rocca, 74 anni, di Tiriolo. E con lo sguardo di chi non ha ancora deposto le armi dice: «Voglio combattere, voglio vivere. Ho ancora tanto da fare». Una dichiarazione che sembra fare a pugni con la sua condizione di disabile. Fin dalla nascita affetto da Sma (atrofia muscolare spinale), già a 10 anni camminava zoppicando, ad 11 erano i suoi stessi compagni ad accompagnarlo a scuola.

Una vita dedicata agli altri

Nel corso degli anni l’inevitabile declino che lo ha inchiodato su una sedia a rotelle ma senza mai levargli la voglia di fare. Una vita dedicata al volontariato: fondatore e vicepresidente dell’associazione Diavoli Rossi, operativo nelle attività di soccorso della Croce Rossa con la qualifica di ispettore, referente regionale della Protezione Civile – Movi e poi il suo impegno in politica e per i temi sociali.

«Tutto si può fare se c'è volontà»

«Ho sempre desiderato combattere attivamente contro il degrado che c’è in Calabria e la mia storia dimostra che tutto si può fare se alla base c’è una forte volontà». Fin quando la malattia glielo ha consentito coordinava le squadre antincendio dei Diavoli Rossi: «Poi sono peggiorato e adesso mi occupo degli aspetti amministrativi» racconta. Solo la parziale mobilità dell’indice della mano destro gli consente una minima autonomia, pochi click sul mouse del computer poi per il resto solo comandi vocali.

«Ora da solo non posso neppure bere»

«Non posso mangiare, non posso bere, devo essere vestito, aiutato per andare al bagno e per essere messo nel letto. Devono anche trovare la giusta posizione per consentirmi di riposare», precisa Mimmo Rocca illustrando implicitamente la geografia di un corpo inerme, diventato oggi quasi prigione per colpa «della politica che non ha fantasia».

Debiti per sopravvivere 

Un giudizio fin troppo benevolo se si considera che da due anni e mezzo non riceve più assistenza ed è costretto a pagarsela con i soldi della pensione, indebitandosi. «Chiedo prestiti agli amici e cerco di risparmiare sull’aria» dice usando una espressione che nulla ha di iperbolico dal momento che tutto si limita allo stretto necessario.

Nel 2021 la fine del progetto comunale di assistenza

La presenza di una persona che possa alzarlo dal letto, che lo imbocchi o che possa comporre un numero in caso d’emergenza ha a che fare con una quotidianità negata da quando nel 2021 il Comune di Catanzaro ha deciso di sospendere il progetto “Abitare in autonomia”, gestito fino al 2017 dalla comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza e poi transitato per competenza all’amministrazione comunale.

«Sono condannato a morire di inedia»

Le due persone, prima pagate dal Comune, continuano a prestare servizio a casa di Mimmo ma a sue spese, costretto ad accollarsi perfino i costi della fisioterapia «l’unica attività per rallentare la corsa della malattia ma non ho nessuno che possa accompagnarmi. Non ce la faccio più – ammette Mimmo – dovrei sospendere da un giorno all’altro la mia assistenza, come faccio?» si domanda retoricamente dal momento che l’unica risposta possibile sarebbe: «Morire di inedia, di fame».

Muro di gomma

Vane, sinora, tutte le interlocuzioni avviate con le istituzioni da cui ha ricevuto proposte di progetti in cui non rientra per limiti di età (fino a 64 anni), o per esiguità di assistenza (6 ore alla settimana) o per contributo (6mila euro all’anno). Ha anche provato ad appellarsi alla giustizia promuovendo un ricorso al Tribunale di Catanzaro dopo la sospensione del servizio da parte del Comune di Catanzaro, ottenendo solo di farsi condannare al pagamento delle spese processuali (2mila euro) perché il giudice è risultato essere incompetente.

«Io voglio vivere»

«Mi sarei dovuto rivolgere al Tar ma solo con un atto di diniego motivato che non ho mai avuto», spiega Mimmo. «Provo un senso di rabbia, frustrazione, angoscia e stress. Sarebbe facile assicurarmi una qualità di vita appena sufficiente ma per la stupidità della politica e della burocrazia devo morire perché non ho altra soluzione. È per questa ragione che ho scritto al Papa, perché io voglio vivere, non voglio essere autorizzato al suicidio assistito. Voglio vivere e con dignità». 
Una lettera commovente, quella inviata a Francesco, che esprime una sofferenza autentica ma dignitosa: «Mi rivolgo a Voi - ha scritto nella missiva al Pontefice - quale ultima spiaggia, cosciente di lanciare un messaggio in bottiglia in un mare agitato da tanti drammi individuali e collettivi, perché la Vostra grandiosa e sofferta missione mi affascina e mi infonde un profondo senso di speranza». A colpire Mimmo, come spiega nella lettera, è la «“fragilità” dell’Uomo-Papa, vissuta come normalità ed umana necessità di vita», un messaggio che «rende più forte la voglia di vivere ed aiutare a vivere gli altri esseri umani resi deboli dal male dell’indifferenza e dagli egoismi consumistici e disumanizzanti del nostro tempo».

«Per lo Stato non esisto»

«Per lo Stato io sono guarito dal momento che non si occupa più di me e non ho più diritto all’assistenza» dice in tono ironicamente provocatorio, dopo essersi appellato in ordine al Papa, al presidente della Repubblica, al presidente della Regione e giù fino al Comune di Catanzaro. «Mi appello alla Regione Calabria che non ha approvato la legge sulla Vita Indipendente, mi appello alla politica che non ha fantasia – dice Mimmo – che spreca tante risorse, spesso è costretta pure a restituirle mentre io sono privo di assistenza».