Secondo l'accusa avrebbero fatto pressioni per ottenere ordinanze di reimmissione in libertà. I fatti risalgono al 2009, nel 2016 era stata emessa in abbreviato una condanna a sei anni per tutti gli imputati
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Assolti “perché il fatto non sussiste”. La Corte d’appello di Catanzaro ha così deciso nei confronti di Rocco Bellocco, Domenico Bellocco e Giuseppe Gallo, accusati di aver corrotto, al fine di ottenere ordinanze di reimmissione in libertà, il giudice Giancarlo Giusti, morto suicida nel 2015.
Gli imputati, tutti rosarnesi, insieme ad altri due deceduti nel corso del processo d’appello, Gaetano Gallo e Domenico Punturiero, erano stati tutti condannati, con giudizio abbreviato, alla pena di sei anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici, con sentenza del 15 marzo 2016 emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro Carlo Saverio Ferraro.
L’accusa era di concorso in corruzione in atti giudiziari aggravata dell’agevolazione mafiosa e concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso.
I fatti, risalenti all’agosto del 2009, riguardavano infatti la presunta corruzione in atti giudiziari nei confronti del giudice Giancarlo Giusti, all’epoca dei fatti componente, relatore ed estensore dei provvedimenti del Tribunale della libertà di Reggio Calabria nei confronti di Rocco Gaetano Gallo (deceduto), Domenico Bellocco e Rocco Bellocco.
Il giudice Giusti si tolse la vita nel 2015 dopo la conferma in Cassazione di una sentenza di condanna dal tribunale di Milano per un’altra vicenda relativa ad alcuni rapporti intrattenuti con una cosca di ‘ndrangheta.
A difendere i tre imputati in Corte d’appello sono stati gli avvocati Mariangela Borgese e Guido Contestabile per Domenico Bellocco, Nicola Veneziano e Guido Contestabile per Rocco Bellocco, Nunzio Raimondi per Giuseppe Gallo e Gaetano Gallo, Valerio Spigarelli per Domenico Puntoriero.
Le dichiarazioni dell'avvocato
Al termine dell’udienza l’avvocato Nunzio Raimondi ha dichiarato: «La sentenza della Corte di appello giunge a quattordici anni di distanza dai fatti e dopo un processo di primo grado, svoltosi col rito abbreviato, nel quale la Procura della Repubblica di Catanzaro si era molto spesa per ottenere la condanna degli imputati sulla base di una ricostruzione dei fatti che, da subito, sembrò assolutamente inverosimile. Ciò nondimeno il giudice di prime cure emise una sentenza di condanna a distanza di cinque anni e mezzo di distanza dai fatti, per depositare le motivazioni a due anni e mezzo dalla lettura del dispositivo».
«La Procura della Repubblica, contraddicendo il proprio precedente asserto, ha dipoi elaborato una nuova ipotesi accusatoria individuando improbabili autori di questa corruzione – ha aggiunto il legale –. Per ottenere questa sentenza di appello sono passati altri cinque anni. Nel frattempo Rocco Gaetano Gallo (prima del giudizio di primo grado), Gaetano Gallo e Domenico Puntoriero (durante il giudizio di appello), sono deceduti. Ed anche il giudice Giusti è deceduto nel 2015. Penso sia lecito chiedersi se questa è giustizia, anche perché gli imputati, quelli deceduti e quelli superstiti, hanno subito carcerazione preventiva per questo fatto».
E ha continuato: «Ma quale fatto? Anche su questo va fatta una riflessione: un fatto di corruzione in atti giudiziari che oggi la Corte di appello ha statuito che non sussiste, sì, avete capito bene. Tutti questi anni di inaudita sofferenza per vecchi (e nuovi) imputati di questa incredibile vicenda per un fatto di corruzione in atti giudiziari che non sussiste. Difficile farsene una ragione».