Tra mille feste, raduni e festival quasi tutti uguali, ce n’è una appena conclusa, che esce dall’ordinario, fuori dagli schemi. È il Festival del Fuoco Sacro, alla sua prima edizione in Calabria, nel vibonese. Più precisamente a la Gigliara, Parco Regionale delle Serre, nel comune di Polia. Fuoco Sacro, un festival, un raduno, l’insieme di quanti, provenienti da più regioni italiane, sono alla ricerca del contatto diretto con l’ambiente.

Fuoco Sacro si è posto l'obiettivo di attivare risorse e potenzialità del territorio, riunendo nei boschi calabresi un consistente gruppo di persone che ha intrapreso un viaggio di crescita personale e che sente l'esigenza di andare verso una vita fatta di essenziale, a contatto diretto con la natura.
Il festival Fuoco Sacro ha avuto come obiettivo anche e soprattutto la cura.

«Il fuoco avvia un processo di trasformazione»

Nel racconto di Sara, donna libera e figlia della natura, abbiamo cercato le risposte giuste.  «Il fuoco avvia un processo di trasformazione. Per tre giorni abbiamo vissuto tutti insieme, condividendo il cibo, gli abbracci e tanta solidarietà».

Tutto si è svolto come in un piccolo villaggio immerso nella natura, distante da tutto e da tutti. «È così. Siamo stati un Piccolo villaggio per tutto il tempo del festival. Intorno al fuoco abbiamo cantato, meditato e pregato, per la cura dello spirito, del corpo e della mente».

Un gruppo dì  professionisti del benessere hanno accompagnato i partecipanti nel proprio intimo per trasformare stress e malessere. «Operatori del benessere hanno condotto cerchi di donne e/o uomini, raduni di tamburi, meditazione, danze, canti medicina, costellazioni familiari e viaggi sciamanici».

Il festival aveva come obiettivo primario la cura. Soprattutto in un momento storico come quello di oggi in cui la società appare sempre più malata. E gli uomini sempre più smarriti. «Tutti i partecipanti sono stati accolti in un'atmosfera di amorevolezza e “morbidezza” in cui hanno lasciare andare le maschere mostrandosi vulnerabili e divini allo stesso tempo. Onirico e intenso. Bagnato di lacrime e sorrisi: è avvenuto così il Festival del Fuoco Sacro, prima edizione, in Calabria, la mia amata terra.»
Abbracci e sorrisi, lacrime e guarigioni interiori, hanno caratterizzato questi di tre giorni da indigeni. «Abbracciati dai faggi, abbiamo battezzato il nome della tribù che è nata – “La tribù dei faggi” – che contribuisce alla tutela degli alberi, contro la deforestazione».

Si è costantemente sentito il ritmo dei tamburi. L’odore del fuoco. Il silenzio degli alberi e delle anime. «Sì, ci hanno accompagnati nel profondo del cuore e della pancia dove ci siamo abbracciati in un unico respiro. Abbiamo meditato e pregato a modo nostro per noi e per il mondo».

L’iniziativa, assolutamente inedita e molto suggestiva si è svolta con il gratuito patrocino del comune di Polia, grazie all’impegno insostituibile di Sara e dell’Associazione Curandera, della quale è presidente».

L'entusiasmo dei partecipanti

Entusiasti i partecipanti che venivano da diverse regioni. Pietro ha scritto: «Il mio commento in una parola, preso in prestito dalla cultura giapponese: komorebi, "luce che filtra tra le foglie degli alberi", un immagine mentale oltre che fisica della luce scintillante (vuoi del sole, vuoi del fuoco) che danza con le ombre attraversandole ed illuminando la foresta (che siamo noi). Ci ricorda l’impermanenza e la mutevolezza costante di tutte le cose, ma anche la speranza e la positività che possono aiutare a dissipare le ombre, che è possibile danzare con l'inevitabile perchè sappiamo che anche se "Todo cambia", l'amore resta».

Riccardo ha commentato: «Gioia, condivisione e improvvisazione di eccellenze». Lucia: «Torno felice. Piena di comprensione e di consapevolezza che gli altri siano me e che io sia gli altri. Nessuno è fuori. Nessuno escluso. Tutti uno. Riflesso di me, di te, di noi».

Il Fuoco Sacro, anche se ora non arde, ha lasciato una traccia profonda. E i carboni ardono sotto la cenere.