L'opera del futurista doveva essere una delle attrazioni della mostra romana alla Galleria nazionale di arte moderna, ma dopo l'apparizione alla sfilata di Bottega veneta per qualcuno non è quella che sembra. La difesa del donatore: «Ecco la verità»
Tutti gli articoli di Costume e Società
PHOTO
Il gran pasticcio della più nota statua di Boccioni parte tutto dalla Calabria, origine e destinazione del guaio che sta coinvolgendo ministero, sovrintendenze, gallerie, maison di moda e che ruota intorno a un artista, morto a soli 33 anni, che statue in bronzo, in realtà, non ne ha mai realizzate.
Accade che sull’opera “Forme uniche nella continuità dello spazio” di Boccioni, esposta nella Galleria nazionale di Cosenza da anni, e unico esemplare di proprietà dello Stato, qualcuno ha gettato ombre e messo pulci nell'orecchio nella bolla artistica del Paese.
La fumosa relazione di vincolo, sottoscritta a Cosenza nel 2013, ha portato qualcuno ad avanzare dubbi sulla reale identità dell’opera esposta a Palazzo Arnone, nel centro storico della città dei bruzi (e al defilé di Bottega Veneta l’anno scorso che ha ospitato la statua per una sfilata accedendo l'attenzione della ex senatrice Margherita Corrado che contestò la mancanza di un'assicurazione sul trasporto). Dubbi «fantasiosi» li ha definiti il donatore Roberto Bilotti Ruggi D'Aragona che ammette l’incoerenza del documento avventuroso con cui l’opera è stata acquisita, e ricostruisce tutta la storia dalle origini ai giorni nostri. Sta di fatto però che la statua, che doveva essere una delle attrazioni alla prossima grande mostra sui Futuristi alla Gnam (Galleria nazionale di arte moderna) di Roma, i curatori non la vogliono più.
Il caos intorno a queste collezioni, statue e calchi, si genera a causa della somiglianza di cognomi, parentele, vincoli e una relazione definita contraddittoria da Ruggi D’Aragona che è al centro del tornado.
La fatale caduta da cavallo e le martellate
I fatti si ingarbugliano quasi subito, dal momento in cui Boccioni, appena più che trentenne, cade da cavallo e muore per le ferite riportate. I familiari decidono allora di affidare i calchi in gesso dello sfortunato artista, nelle mani di tale Piero da Verona, grande ammiratore di Boccioni. Dopo sette anni, però, per ragioni oscure – i detrattori parlano di invidia e ossessione, gli estimatori di gesto di tutela disperato che potesse evitare riproduzioni in serie – l’epigono del Futurista prese la decisione di distruggerli tutti e gettarli in una discarica. Era il 1927.
Il calco “Forme uniche nella continuità dello spazio” è l'unico a mettersi in salvo perché in mano a Marinetti. La volontà della sorella di Boccioni, Amelia, ma anche del gallerista di origini montaltesi Sprovieri (lontano parente di Carlo Bilotti) e del critico d’arte Calvesi, è quella di realizzare un esemplare in bronzo e portarlo in Calabria, terra natia di Boccioni. Marinetti fa realizzare due esemplari, ma non è soddisfatto: sono levigati e senza base e l’indicazione è quella di rifarli daccapo, cosa che, però, non avviene.
La morte di Marinetti e l'entrata in scena di Marinotti
Quando Marinetti muore, la gestione del patrimonio passa alle sue figlie e alla vedova che decidono di usare quel calco in gesso, per realizzare altri esemplari in bronzo a scopi commerciali: uno si trova attualmente al Metropolitan, l’altro andò nelle mani del conte Marinotti. E adesso attenzione, perché sarà proprio la statua in bronzo del conte a scatenare il caos.
Marinotti si era impegnato con i Marinetti (attenzione alle vocali) a tenere per sé la statua e di non farne copie. Ma il conte il patto legale lo infrange quasi subito. Tramite la tecnica chiamata del surmoulage, che permette di ricavare un calco dalla statua stessa, crea dieci esemplari (8+2) di una collezione eseguita dalla galleria “La Medusa”, che contraddiceva gli impegni contrattuale con i Marinetti, superava il numero legale previsto per questo tipo di operazioni e non rispettava neanche il termine dei settant’anni dalla morte dell’artista che la legge prevede per la decadenza dei diritti d’autore (diritti che detenevano i discendenti di Boccioni). Il magnate Carlo Bilotti acquista una di queste 10 statue, una Hc, cioè horse commerce (fuori commercio) che si trova negli Usa dal 2005.
Successivamente, in modo decisamente più corretto e dopo il settantesimo anniversario dalla morte di Boccioni, vengono realizzati altri esemplari, e per la precisione 6 in tutto. Una di queste statue è quella che Roberto Bilotti Ruggi D’Aragona dona a Cosenza nel 2017.
Un documento pieno di errori
«E qui sorgono i problemi – racconta Bilotti – proprio dalla relazione storica, piena di errori e incongruenze che certifica il vincolo sottoscritto dall’allora direttrice della galleria nazionale di Cosenza e poi vistato anche dalla Sovrintendenza. Dalla carta si legge che Boccioni avrebbe distrutto da sé i propri calchi, ed è falso, sappiamo che la verità storica è un’altra; leggiamo che Boccioni avrebbe realizzato statue in terracotta: altro errore perché sappiamo che non realizzò mai nessuna statua in terracotta; leggiamo che la direttrice fa riferimento non alla statua donata da me, ma a quella di mio zio Carlo, la famosa Hc, che io non ho neanche mai visto che avrebbe - e cito - preso in esame, confondendo i due esemplari».
Una volta ricevuta la notifica di vincolo Bilotti, però, preso atto degli errori, decide di non fare ricorso al Tar per chiedere la modifica dell’incartamento. «Non volevo fare causa a chi stava per ricevere un’opera realizzando così il desiderio della sorella di Boccioni; ho lasciato andare, ero tranquillo perché l'opera era stata indicata in modo chiaro nel verbale di consegna del 2012 e poi nell'atto di donazione del 2017. Ripeto, la statua non è quella di mio zio Carlo, c’è stato un errore, una svista, facilmente accertabile. Non capisco questo polverone e queste indagini. Tutto potrebbe essere risolto con un paio di telefonate per verificare chi ha ereditato cosa» si difende. Casus belli recente è la grande esposizione che sarà ospitata a Roma e dedicata ai Futuristi. I curatori, davanti alle polemiche sollevate sull’originalità della statua, hanno preferito soprassedere e non richiederla per l’esposizione.
Gallerie nazionali di serie A e serie B
«Questo per me è un danno d’immagine – chiosa Bilotti -. Non capisco perché ci siano Gallerie nazionali di serie A e di serie B: perché a Cosenza può esser esposta e a Roma no? Lo chiarisco subito: l'articolo 2 dell'atto di donazione modale, prevede tra gli oneri per il donatario che qualora non sia consentita la fruibilità, la donazione si intende risolta e la proprietà torna al donatore. Quindi se lo Stato donatario non intende esporla alla Gnam si avvera la condizione di risoluzione e la restituzione, lo Stato perderebbe l'unico esemplare che ha e allora non avrebbe senso mantenerlo come icona sui 20 cent. La direzione generale Musei ha tutte le qualifiche scientifiche per chiarire la situazione, cosa che mi auguro faccia al più presto».