Sono stato tra i cronisti (pochi per la verità) che fin da subito ha denunciato le incongruenze dell’indagine "Why not". Ho sempre definito questa indagine una delle più grandi bufale giudiziarie della storia italiana, figlia della crisi del sistema giudiziario italiano. Una crisi che, ancora oggi, persiste e che, paradossalmente, la corporazione dei Magistrati, invece, continua a negare, impedendo di fatto qualsiasi riforma radicale del settore. Permanendo in questa crisi di sistema, si può affermare che ogni italiano è sostanzialmente in una condizione di libertà provvisoria.

 

Sostenendo queste tesi mi sono scontrato, qui in Calabria e non solo, con tanti colleghi che si sono auto attribuiti la patente di “profeti della legalità” e che ancora oggi continuano pontificare e a sostenere vere e proprie cazzate, confondendo l’etica con il processo penale. Scrive il giornalista Peppino Caldarola: “leggo su Repubblica on line che gli imputati dell'inchiesta "Why not" ,messa su da De Magistris , sono stati tutti assolti. Avete letto bene: assolti. L'uomo politico De Magistris è nato sulla popolarità di quell'inchiesta. Pensa di chiedere scusa alle sue vittime? Ovviamente no”. No, non chiederà scusa De Magistris e, purtroppo, non chiederà scusa nessuno di quei giornalisti che il personaggio De Magistris ha creato. Non chiederà scusa chi faceva con lui le assemblee sugli scalini del Tribunale di Catanzaro a piazza Matteotti gridando al complotto. Non chiederanno scusa quei politici del centro-sinistra che lo invitavano a convegni, a presentazione di libri o ne esaltavano le gesta. Questa galassia di ipocriti, bufalari, falsari e intellettuali dalla falsa anima pia con i loro referenti in varie redazioni nazionali dei giornali, sono sempre là, in attesa di avventarsi sui corpi delle prossime vittime, pronti a sostenere il prossimo “De Magistris” come iene e sciacalli assetati di sangue, pronti ad avventarsi sul presunto prossimo “mostro” da sacrificare nelle arene dei loro circhi mediatici.

 

Le vittime dell’inchiesta "Why not" sono state prevalentemente imprenditori, professionisti e politici. Quando c’è di mezzo la politica, il populismo, il sentimento antipolitico, è sempre più forte del ragionamento sui diritti e sulle garanzie. Quando un popolo perde la capacità di ragionamento, aiutato e stimolato in questo da una stampa che, da oltre un ventennio, poggia le sue fortune editoriali sul sentimento populista e antipolitico di questo paese, il senso della tutela dei diritti e delle garanzie viene smarrito e la democrazia ne esce fortemente indebolita.

 

Nicola Adamo, dopo 10 anni, ha dimostrato la sua innocenza, ma è indubbio che la tempesta mediatica che lo ha investito lo abbia minato nel prestigio, ne abbia infangato la carriera politica e, forse, è probabile che lo abbia esposto ad altre inchieste delle quali ancora oggi paga le conseguenze. Politici, imprenditori, professionisti, sono stati massacrati mediaticamente e tenuti a bagnomaria giudiziariamente per 10 anni e, di contro, un Magistrato, un pessimo Magistrato, invece, grazie a quell’inchiesta bufala, ha raggiunto i vertici della politica. Un po’ di giornalisti hanno guadagnato soldi e visibilità con le loro pubblicazioni, qualche giornalista televisivo ha guadagnato contratti sostanziosi e qualche cronista ha fatto pure carriera passando da qualche redazione locale a quelle nazionali.

 

In qualsiasi nazione seria tutto ciò sarebbe stato giudicato una sorta di golpe e il responsabile mandato a pascolare pecore, nel nostro paese, invece, i golpisti diventano deputati, ministri e sindaci mentre i campioni delle bufale giornalistiche, star televisive e mediatiche.

 

“Why Not” è stata una inchiesta che è costata allo Stato circa 9 milioni di euro e ha prodotto decine di processi diversi, producendo gli stessi effetti delle bombe a grappolo. Why not è stata partorita dal punto vista investigativo senza un filo logico e razionale, diventando ad un certo punto il contenitore di tutto. Episodi di truffa, un'associazione per delinquere (smentita dalla Cassazione giusto due anni fa), false fatturazioni, l'omicidio Fortugno, la faida ‘ndranghetista di San Luca, gli appalti di Finmeccanica, i viaggi in Africa di soggetti legati a Romano Prodi, opere pubbliche sospette in Cina e un traffico d'armi. Per un totale di oltre 100 indagati. Cosa è rimasto di tutto ciò? Zero assoluto, lo stesso valore del Magistrato che si è reso responsabile di tutto l’impianto “accusatorio”. D’altronde quando De Magistris dava il via al più grande circo mediatico-giudiziario della storia italiana, era reduce di altri disastri come le precedenti indagini (Poseidone e Toghe lucane) anche con “Why not” de Magistris perde parecchi ricorsi al Riesame. Nel caso del dissequestro delle agende e di altro materiale preso a Saladino, addirittura il PM decide di non ricorrere in Cassazione dopo aver letto quel che i giudici scrivono dei suoi metodi d'indagine. De Magistris le cui inchieste vengono smontate dai suoi macroscopici errori da altri livelli giudiziari grida al complotto, addirittura presenta anche una denuncia in tal senso alla Procura di Salerno contro quella di Catanzaro e contro lo stesso Procuratore generale della Cassazione che aveva avviato nei suoi confronti un procedimento disciplinare al CSM.

 

Le ingarbugliate conseguenze delle sue mosse produrranno anche il più grande scontro della storia tra apparati giudiziari. Con un decreto di perquisizione di 1.700 pagine, la procura di Salerno, con un blitz all’alba entra nelle case di alcuni magistrati catanzaresi, porta via da Catanzaro i fascicoli delle inchieste ancora in corso. La procura di Catanzaro replica che l'iniziativa è "un atto eversivo". Mette sott'inchiesta, a sua volta, le toghe di Salerno per abuso d'ufficio e interruzione di pubblico servizio e si riprende i fascicoli. A sedare lo scontro interviene il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Scrive in quelle ore il compianto Giuseppe D’Avanzo di Repubblica: “Sono ore di smarrimento per chi ha fiducia nella funzione giudiziaria. Un ufficio essenziale dello Stato di diritto pare affidato a bande che si fanno la guerra in modo così estremo e furioso da coinvolgere anche l'arbitro. Del tutto irresponsabilmente, stracciano ogni apparenza di decoro, di leale collaborazione istituzionale, ogni traccia di rispetto delle regole e delle sentenze già scritte. Un cittadino non può che pensare che la sua libertà personale, i suoi beni, la sua reputazione sono affidati a una consorteria scriteriata e incosciente. Non può che prendere atto che il "potere diffuso" della giurisdizione è fallito come si è rivelato una rovina la gerarchizzazione degli uffici. Non può che concludere che la magistratura (per l'imprudenza o l'arroganza di pochi) appare non consapevole che autonomia e indipendenza si declinano con responsabilità o si perdono per sempre”.

 

Da allora la sceneggiata “Why not” ha continuato per altri otto anni, altri soldi spesi, altri inutili dibattimenti, il tutto per accertare il nulla e per verificare quello che era già abbastanza chiaro fin dall’inizio: De Magistris aveva messo insieme non un processo fatto di riscontri, prove, moventi, ma semplicemente una mera ricostruzione "giornalistica" di un sistema di potere, tutto ciò, spacciata e utilizzata per sostenere un quadro penale. Se tutto questo, da un lato appare grottesco, dall’altro lato, invece, si rivela inquietante. Vicende come questa, infatti, confermano la crisi di un sistema, nel quale, un Magistrato, anche all’interno di quadro penale grottesco, può mettere in ginocchio la credibilità delle istituzioni.

 

La farsa why not è finita, ma quante vicende del genere magari meno eclatanti sono ancora in piedi? Quanti potenziali De Magistris sono in servizio nel sistema giudiziario italiano? Ecco, il nocciolo della questione sta tutto qua. In questi anni le contraddizioni, i limiti e la pericolosità delle storture del sistema italiano sono rimaste tutte in piedi e tutte potenzialmente in agguato e, tuttavia, nessuno è riuscito a fare una riforma seria del sistema, anche a causa della debolezza della politica verso il potere giudiziario, una debolezza che, con il passare degli anni, diventa sempre più strutturale. Why not è finita, avanti la prossima bufala ci verrebbe da dire. Nel frattempo non ci rimane che piangere sulla frase estratta da un libro dato alle stampe dallo stesso Gigino de Magistris (non bastava la carta consumata inutilmente in questo processo): “È quasi un miracolo – scrive – se il mio equilibrio psicofisico è rimasto integro, se non ho perso la bussola, se ho mantenuto fermo il baricentro della mia azione. I miei valori sono saldi. Sono credente, ho la certezza di avere avuto Gesù al mio fianco”. Povero Gesù, da Messia della Giustizia fatto carne a testimone delle bufale giudiziarie di Gigino da Napoli.