Tra maggio e giugno, i grandi pesci venivano sbarcati a centinaia sulla spiaggia della cittadina vibonese. Così aveva inizio la lavorazione per la vendita e la preparazione dei piatti della tradizione
Tutti gli articoli di Blog
PHOTO
“U tunnu è com’u porcu, no’ si jètta nendi!”, dice un vecchio adagio Pizzitano. E infatti, i Pizzitani consideravano il tonno il maiale di mare perché, a parte le prelibate carni, che tutti conosciamo, vi sono altre parti con le quali si preparavano ghiottonerie, succulente pietanze, ahimè oggi poco conosciute, mentre un tempo erano di uso comune e perciò cultura culinaria e tradizione che rappresentava l’identità del luogo e della sua gente. Secoli e secoli di saperi, di esperienze, di conoscenze tramandate di generazione in generazione, lasciati evaporare, svanire nell’arco di pochi decenni.
Ciò dovuto principalmente al fatto che a Pizzo non vi operano più, oramai da diverso tempo, le tonnare fisse e i tonni pescati, smistati in altre località, prendono vie lontane dalla nostra cittadina. Un tempo, quando lo sbarco dei tonni avveniva alla Marina di Pizzo e le sue acque si tingevano di rosso vermiglio, ogni pescheria in questo periodo, tra maggio e giugno, ne teneva appeso, legato alla coda, un bello esemplare intero di oltre un quintale. Oggi, le poche pescherie al più ne mostrano sul bancone un trancio netto da affettare di dieci quindici chili.
Il sapore forte e deciso della trippa del tonno? Il cuore con la cipolla fresca? Le uova, da cui si fa la bottarga, ma che sono squisite anche bollite e condite con olio e limone? Il delicato lattume, per palati fini, la sacca del liquido seminale dei maschi, bollito e poi infarinato e fritto a fettine e insaporito con aceto e mentuccia? Quanti oggi preparano tali piatti o li saprebbero preparare, ammesso che gli ingredienti fossero reperibili?
Sapori e odori che si espandevano in quei vicoli oggi fotografati dai turisti e le cui misere case sono per lo più chiuse o abitate da famiglie immigrate.