Sabèja ‘i donna ‘Ngiùlina ‘a Simbàtica è rimasta incinta dopo tredici anni di matrimonio. Trìdici anni chi abbattìu!
Aveva fatto voto a Sambrangìscu che se avesse avuto un figlio, maschio o femmina che fosse, lo avrebbe chiamato come il santo di Paola. Per tutti quegli anni si era fatta i trìdici vènnari ‘i Sambrangìscu, attenendosi scupolosamente e con fede a tutto quanto previsto dalla regola voluta da San Francesco di Paola, che l'aveva pensata come in onore del Signore e dei dodici Apostoli.
Così essa era concepita, secondo la tradizione tramandata nell'Ordine: "Per Tredici Venerdì consecutivi confesserete le vostre colpe e riceverete il Santissimo Sacramento nella Messa che farete dire o ascolterete, per la grazia di cui avete bisogno. Durante la Messa reciterete tredici Pater e tredici Ave Maria in onore e riverenza di Gesù Cristo Crocifisso e dei dodici Apostoli. Nel tempo stesso farete ardere due candele di cera, in segno delle due virtù: Fede e Speranza; e una terza la terrete accesa in mano, come simbolo della Carità, con cui dovete amare Dio e chiedergli le grazie. Così nostro Signore vi concederà il compimento dei vostri giusti desideri".

 

Gli anni trascorsi erano oramai tanti e, quantunque la fede la sostenesse in ogni avversità che la vita è sempre pronta a porci dinanzi, incominciava a farsene una ragione: «Vôli diri che u Signùri vozzi accussì, no’ su’ ‘a prima e nemmeno l’urtima». Però, in cuor suo, il desiderio di essere mamma era sempre vivo e la speranza in lei sempre accesa.
Avevano fatto tutti gli accertamenti, sia lei che il marito - Ndi giràru, gioia! - e niente era che non andasse, però non riusciva a rimanere incinta lo stesso. Tutti i medici che avevano girato erano stati della stessa parola: «Lei è tutta a posto, non le manca niente. È la troppa ansia che la blocca. Come si rasserena e non ci pensa più, vedrà che succede»!
E così è stato che allo scadere dei tredici anni è nata Francesca. La cundendìzza di Donna ‘Ngiùlina ‘a Simbàtica non si può descrivere, tanto che si fece avanti per vestirla cu l’abitu ‘i monachèju ‘i Sambrangiscu e portarla in processione dietro il Santo.
E così è stato. Alla processione, i paesani, vedendo donna ‘Ngiulìna e Sabèja scalze con la bambina in braccio vestita di monachèju dietro Sambrangìscu: «Sabèja ‘i donna ‘Ngiùlina ‘a Simbàtica? Era tuttu signàtu! Trìdici anni ebbe m’aspetta, unu pe’ ogni vènnari, però u miràculu l’ebbi. Sambrangìscu no’ si scorda»!

A Pizzo, la tradizione di vestire i bambini con l’abitino dei monaci di San Francesco di Paola durante la pratica dei tredici venerdì e portarli in processione dietro il Santo è secolare. Si fa per aver fatto voto nel chiedere una grazia o perché si ritiene di averla ottenuta; si fa più semplicemente per devozione al santo più venerato dalla cittadina tirrenica.