Chi ha il piacere di vivere la campagna elettorale calabrese sa che, per i candidati, vincere non è importante, è l'unica cosa che conta. A costo di sacrificare la famiglia, la reputazione e la propria dignità.

Un posto in politica in Calabria è un passepartout, è il modo più semplice e diretto per occupare un posto di prestigio e di rilievo nella società senza dover passare dallo studio, dalla gavetta o dal sacrificio, è la migliore soluzione per vivere una vita agiata in una terra povera, poco industrializzata, persino retrograda, in cui, ancora oggi, nel 2020, ci si affida più alla religione che alla scienza.

Per questo, in Calabria, tutto ruota intorno alla politica, persino la 'ndrangheta. E non il contrario. Dalla politica passano le decisioni sulla sanità, quelle su certa magistratura, fondi, incarichi, appalti, autorizzazioni, tutto. Ne consegue che se non hai un amico in politica, non sei nessuno, non puoi fare nemmeno una tac con urgenza, tranne che nel periodo elettorale, quando per tre mesi ogni cosa è possibile e la giornata comincia con un caffè pagato al bar e una pacca sulle spalle come tra vecchi amici. Il prezzo per tanta grazia è sempre lo stesso: il proprio voto.

Il triste destino che di non vota

Per chi non ha santi in paradiso, la vita in Calabria è davvero dura. Ne sa qualcosa Salvatore di Costanzo, 61 anni, originario di Portici, residente a Cleto ma domiciliato a Santa Maria del Cedro.

Domiciliato, a dire il vero, non è proprio il termine corretto, perché Salvatore, altrimenti detto l'uomo invisibile, una casa non ce l'ha più. Ha distrutto tutto un incendio provocato da una sigaretta rimasta accesa durante una delle tanti notti di alcool, delirio e solitudine che ormai scandiscono la sua vita.

Avrebbe bisogno di cure e di aiuto, invece vive lungo una strada della ss 18, seduto su una panchina a cercare lo sguardo dei passanti o consumando le scarpe già rotte andando avanti e indietro fino allo sfinimento. Eppure Salvatore per lo Stato calabrese non esiste, neppure in piena emergenza coronavirus. Al contrario del resto del mondo, è libero di girovagare senza protezioni, mettendo a rischio se stesso e gli altri. Per questo lo chiamano l'uomo invisibile, perché è come se non esistesse. Contrariamente, della sua storia sono a conoscenza tutti, anche i politici e i funzionari dell'Asp, che non hanno fatto alcunché per aiutarlo anche quando la vicenda è diventata di dominio pubblico grazie al giornalismo di denuncia di LaC News24.

Ma Salvatore non vota, date le sue condizioni psichiche, e nessuno in questa regione ha interesse ad avvicinarlo, fargli un favore o salvargli la vita. Non ha neppure parenti che vivono qui e questo è un dato che gioca decisamente a suo sfavore.

Gli appelli del sindaco caduti nel vuoto

Chi non ha mai smesso di cercare giustizia per Salvatore, è il sindaco di Santa Maria del Cedro, Ugo Vetere, che dal 2016 continua a denunciare alla procura di Paola lo scempio che si sta consumando sulla pelle di un pover'uomo caduto in disgrazia e pian piano diventato sempre più estraneo a se stesso. Vetere ha scritto anche al tribunale di Paola, all'Asp di Cosenza e alla Regione Calabria.

Non tutti si sono degnati di rispondere e chi lo ha fatto ha sempre scaricato le proprie colpe sugli altri uffici. Eppure c'è un documento che parla chiaro: la tipologia di struttura che può accogliere un paziente come Di Costanzo è l'Uvm dell'asp di competenza, ossia, l'ufficio dell'Unità di Valutazione Multidimensionale facente capo all'Asp di Cosenza. E' la stessa Asp balzata agli onori di cronaca per le parcelle d'oro, perché è gestita come un'azienda privata, perché è indebitata e inefficiente come poche, che conosce bene la storia di Salvatore grazie ai tanti tso subiti negli ultimi tre anni.

Il silenzio della politica

Un anno fa la storia di Salvatore, come dicevamo poc'anzi, diventa di dominio pubblico e fa il giro della rete. La gente è incredula, il sindaco firma un altro tso e Salvatore finisce in una struttura sanitaria di Vallo della Lucania, in Campania, perché in Calabria non c'è nemmeno un posto disponibile e lui non ha nemmeno un amico in una clinica privata o a capo di una loggia massonica. Un vicino, un amico di un amico, un mezzo parente, niente. Torna, meno di venti giorni più tardi, e sembra un altro. Sbarbato, profumato e finalmente lucido, chiede persino di poter lavorare. Ma smette di prendere le medicine che regolano le sue alterazioni psichiche, nessuno lo assiste, e pochi giorni più tardi ripiomba nell'abisso. Ripartono gli appelli, il sindaco scrive, chiede aiuto, c'è un uomo da salvare.

Nessuno risponde. Nel frattempo comincia la campagna elettorale della peggiore categoria politica esistente, quella regionale, e i candidati cominciano la solita sfilata nei territori a cui prospettano fuffa mista ad aria fritta, ma con stile, certificata dai selfie d'ordinanza. E vai di baci, abbracci e strette di mano, entrano nelle case, mangiano a sbafo e promettono ogni cosa. Come i preti in confessionale, chiedono ai commensali di parlare a cuore aperto: «Cosa vi serve, figlioli? Se vinciamo insieme possiamo tutto». Non hanno competenze su niente ma mettono bocca su ogni cosa: sanità, depurazione, rifiuti, turismo, disabilità, povertà, scuola, istruzione. Alcuni di loro non hanno mai lavorato un solo giorno in vita loro.

Cade un uccello dall'albero e loro sono già pronti con il comunicato stampa. Si accorgono di tutto, tranne di Salvatore e quelli nelle sue stesse condizioni, con i quali non possono contrattare nessun voto. Aiutarlo sarebbe una mera perdita di tempo. In piena campagna elettorale va in onda su LaC un ulteriore servizio durante una puntata del programma Occhio alla Lince. Stessa reazione popolare, stessa indignazione, ma i politici non vedono, nemmeno quelli che siedono in Parlamento. Intanto finisce la campagna elettorale per le regionali e le urne decretano vincitori e sconfitti. Questi ultimi si ritirano dalle scene, chi non li vota non li merita, gli altri si siedono ai tavoli per decidere incarichi e ruoli. La distribuzione dei bonus fedeltà in politica è un momento delicato da cui dipendono i mesi a venire. Chi ha dato deve avere indietro con gli interessi e mettere d'accordo tutti non è semplice. Il tempo è poco e gli amici sono tanti.

Quelli come Salvatore possono attendere. Anche per tutta la vita. Per adesso, Salvatore se ne andrà in una struttura di accoglienza gestita da don Marco Avenà, che non è rimasto indifferente agli appelli e ha dato la sua disponibilità a farsi carico della situazione, ma quella di Salvatore Di Costanzo rimane una delle tante vergogne di Stato di questa regione, ciclicamente governata da gente politicamente disinteressata e incapace.