La città è di nuovo commissariata dopo le dimissioni del sindaco Gennaro Licursi, arrestato lo scorso 12 dicembre per un'inchiesta sull'assenteismo. L'incuria di questi giorni sono il sintomo di un disagio ancora più grave
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Scalea centro. La gente in strada e qualche serranda aperta danno il senso di una comunità che finalmente sta per ripartire. Contemporaneamente un odore nauseabondo e decine di sacchetti dell'immondizia fanno capolino in ogni dove, ci sono cumuli di immondizia accando ai palazzi, negli angoli della strada, catapultando l'osservatore in una realtà assai amara. Per la costa altotirrenica cosentina, con i suoi oltre 11mila abitanti la città è un faro, un punto di riferimento, è l'immagine simbolo delle estati calabresi, della movida, del turismo sfrenato, del caos, della ricchezza, dell'abbondanza e vederla in questo è un colpo al cuore. Ma che sta succedendo? Il Comune, riferiscono fonti accreditate, non paga la società che si occupa della raccolta differenziata porta a porta e non paga la società che si occupa di smaltire i rifiuti. Un ritardo, ci dicono, un semplice ritardo, l'ente ha già provveduto a inoltrare un pagamento all'Ato, l'ambito territoriale di riferimento, due giorni fa. I soldi ci sono, i cittadini versano i tributi, e allora che cos'è che trascina Scalea in un vortice di abbandono e degrado e la riduce in questo stato? Una serie di coincidenze o, se volete, sfortunate vicissitudini?
Comune commissariato
Attualmente il Comune è guidato da un commissario prefettizio, Francesco Massidda, che vive fuori Scalea e si reca al municipio pochi giorni a settimana. Pochi per un posto grande e complicato come la città di Torre Talao, che avrebbe bisogno di continue attenzioni. Scalea avrebbe bisogno del suo sindaco, dei suoi rappresentanti, che oggi non ha più. Il giovane incaricato è succeduto a Giuseppe Guetta, anch'egli commissario prefettizio, che ha rassegnato le dimissioni in piena emergenza coronavirus, circostanza che la cittadinanza ha vissuto come una sorta di tradimento.
Perché Guetta era arrivato dopo l'ennesimo colpo alla città, dopo le dimissioni del sindaco Gennaro Licursi, arrestato la mattina del 12 dicembre 2019 per una vicenda legata all'assenteismo sul posto di lavoro, che nulla c'entra con il suo ruolo istituzionale. Dipendente dell'Asp di Cosenza, in servizio negli uffici di Scalea, Licursi, hanno detto le indagini, si era assentato da lavoro in modo ingiustificato per un periodo di 600 ore. E forse lo scandalo sarebbe durato non più di qualche ora e non sarebbe uscito dai confini calabresi, se non fosse che le carte della procura hanno rivelato vizi e virtù di un sindaco che prima di tutto è un uomo, con la sua storia e le sue debolezze, ingenerando un tam tam mediatico che ha spedito la città di Torre Talao dritto sulle pagine dei quotidiani nazionali Ogni battuta su Licursi è stato motivo di scherno. Come se un uomo non avesse diritto a vivere la propria vita privata in santa pace. Come se le debolezze di un amministratore potessero identificare tutta una comunità. Come se Licursi fosse l'unico uomo al mondo ad esser caduto in errore.
Scalea "mafiosa"
Fatto sta che Scalea diviene lo zimbello d'Italia per più di qualche giorno, anche per colpa di un giornalismo subdolo, che ha dimenticato le regole della deontologia e forse ha anche perso rispetto per sé stesso. E a pagare, come sempre, più di tutti, sono gli scaleoti. Non è neppure la prima volta che accade. Nel 2013 la città è travolta da un'inchiesta giudiziaria senza precedenti, denominata Plinius. Tra gli altri, arrestano il sindaco dell'epoca, assessori, consiglieri, dipendenti comunali, la magistratura dice che il tessuto sociale e politico scaleoto è tutt'uno con la cosca di 'ndrangheta del potentissimo e sanguinario boss Franco Muto. La magistratura dice che Scalea è una città mafiosa. Il 13 luglio di quell'anno segna per sempre un primo e un dopo nel paese di Torre di Talao. A Scalea cuciono sulla pelle un'etichetta che non va più via.
Nemmeno quando anni e anni di processi rivelano invece che la città di Scalea era vittima della cosca, che il sindaco sì, ha sbagliato, ha commesso degli errori, ma non era un affiliato, non ha favorito il clan, e che decine di arrestati era completamente innocenti, estranei a qualsivoglia accusa di mafia, di favoreggiamento o di corruzione. Due su tutti: gli assessori di allora Raffaele De Rosa e Maurizio Ciancio, assolti in primo, secondo e terzo grado di giudizio e dichiarati candidabili da un'ulteriore sentenza, come avvenuto anche per tanti ex compagni di sventura.
Inchiesta Plinius sgonfiata
Le notizie di assoluzione, però, o di accuse successivamente valutate infondate, non hanno avuto la stessa eco degli arresti, come avviene solitamente in questi casi, e da allora Scalea si porta addosso un marchio che non le appartiene, pagando ancora oggi un prezzo troppo alto. L'operazione anti 'ndrangheta è costata alla città 4 anni di commissariamento, 4 anni di preoccupazioni, ritardi e mancanze che lo Stato non è riuscito a colmare. Dopo una campagna elettorale infuocata, a giugno 2016 il popolo aveva incoronato Gennaro Licursi sindaco di Scalea, nella speranza di poter ricominciare, di poter essere degnamente rappresentati ai tavoli istituzionali. Licursi, poi, aveva agguantato anche un posto da consigliere provinciale, ce l'aveva fatta a realizzare i suoi sogni dopo averli rincorsi per tutta la vita.
La città stava tornando quella di un tempo, dopo 16 anni era stata riaperta la sede della Guardia Costiera, sul tavolo decine di idee e progetti da realizzare. Fino a quel 12 dicembre, quando gli scaleoti sono stati nuovamente risucchiati dalla gogna mediatica. Oggi, dopo alti tre mesi di commissariamento, di cui due passati in isolamento, quei sacchetti di immondizia sono più di un semplice disagio, molto più di un disservizio, sono il sintomo di una città ferita e bistrattata, a cui si continua a fare del male e a cui nessuno ha mai chiesto scusa.