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Proviamo a scindere i due aspetti. Da una parte c'è il lato emotivo, passionale della vicenda. Lo cavalcano soprattutto, anche legittimamente, i tifosi. Per loro c'è una verità, inconfutabile: la Vigor Lamezia ha subito un'onta incancellabile ed è stata sbattuta in serie D. Per loro non c'è bisogno di cercare colpe: sono state già acclarate dalla giustizia sportiva. Il resto sono chiacchiere inutili. Poi c'è il lato razionale. Lo dovrebbero perseguire i cosiddetti “addetti ai lavori”. E visto che mi ritengo uno di questi, mi permetto di ricostruire tutta la vicenda. E anche se oggi, da meno di un mese, occupo il ruolo di addetto stampa della Vigor Lamezia, mi limito a ricordare come da sempre, sul corso della giustizia sportiva in questo scandalo, io abbia mantenuto un atteggiamento critico. Ci sono decine di miei post che possono confermarlo. Ecco perchè provo a ricapitolare. A chi non interessa nulla della pura cronaca, consiglio di non procedere nella lettura, che peraltro non è breve. Non gliene farei certo una colpa, sapendo che comunque, quanto segue, è solo una ricostruzione dei fatti. Ognuno poi si faccia la sua legittima idea.
Lo scandalo Dirty Soccer esplode la mattina del 19 maggio. Decine di avvisi di garanzia, perquisizioni e arresti eccellenti. Tra questi, quello di Fabrizio Maglia, all'epoca dei fatti ancora direttore sportivo della Vigor Lamezia. E' quel giorno che tifosi e appassionati della Vigor s'imbattono in un nome che la giustizia sportiva identifica come responsabile marketing della società: Felice Bellini. La prima domanda che si fanno tutti è: “ma come? Non era Marco Cerminara il responsabile del marketing?” E' una domanda che tornerà per tutta la vicenda. Sta di fatto che la magistratura e la DDA di Catanzaro insistono su questo aspetto. Si chiarirà poi che, in realtà, Bellini “sarebbe dovuto diventare responsabile marketing della Vigor Lamezia a partire da luglio”. Cioè due mesi dopo rispetto allo scoppio dello scandalo e ai fatti contestati. Torniamo però a Maglia e a quello che succede la mattina del 19 maggio. Il direttore sportivo viene prelevato a casa all'alba, mostrato alle telecamere mentre viene condotto via. Le stesse telecamere, poi, si spostano presso lo stadio, dove c'è la sede della Vigor. Riprendono il presidente Claudio Arpaia che, ancora mezzo assonnato, arriva ad aprire. Le forze dell'ordine perquisiscono tutto, cercano in particolare dei contratti di sponsorizzazione, forse proprio alla luce della posizione di Bellini. Secondo alcuni presenti, Arpaia non si è nemmeno reso conto di quanto sta accadendo. Pochi giorni prima è stato arrestato, nell'ambito dell'operazione Andromeda, uno dei soci della Vigor, Franco Perri. Arpaia, all'inizio, crede che il tutto stia avvenendo proprio in relazione a quell'arresto. Sarà in sede che apprenderà che si tratta di tutt'altra cosa e che è stato arrestato Maglia. Come prevedibile, l'operazione Dirty Soccer, che è vero, parte proprio come una derivazione dell'operazione Andromeda, scoppia in tutta Italia, con persone colpite dai vari provvedimenti in diverse regioni. Il problema è che di immagini sulla vicenda ci sono solo quelle della conferenza stampa presso la DDA e dell'arresto di Maglia, con le perquisizioni nella sede della Vigor. Per giorni, quelle immagini, andranno su tutti i media nazionali. Dirty Soccer, nell'immaginario collettivo, viene in automatico associato alla Vigor Lamezia. Il 2 giugno, uno dei più illustri avvocati che si occupano di giustizia sportiva, Eduardo Chiacchio, afferma con convinzione: “Ho avuto modo di leggere l’ordinanza emessa dalla Procura di Catanzaro e dal quadro probatorio emerso, soltanto in un caso si configurerebbe la responsabilità diretta del massimo dirigente della società. Mi riferisco alla Vigor Lamezia, il cui presidente è stato indagato. Per quanto riguarda gli altri club coinvolti, è stata contestata la sola responsabilità oggettiva.” Insomma, siamo già alle prime sentenze. Curiosa, è preferibile definirla così, la circostanza che lo stesso Chiacchio si occuperà poi della difesa proprio della Vigor Lamezia: alla luce dei fatti e degli avvenimenti, forse una scelta poco azzeccata. Andiamo avanti, iniziano gli interrogatori, ormai si diffonde la convinzione che la Vigor sarà retrocessa, c'è troppo dentro. I deferimenti confermano: alla Vigor viene contestata la responsabilità diretta, per via del coinvolgimento di Arpaia. Intanto l'inchiesta si è allargata, sono arrivati altri avvisi di garanzia, anche per lo stesso Arpaia. Maglia passa tre giorni in carcere e per altri quindici giorni resta ai domiciliari. Dopo un'estate caldissima si arriva finalmente al primo grado di giudizio, in ambito sempre sportivo: il 20 agosto il Tribunale federale emette le sue sentenze. Le richieste sono state terribili: praticamente il procuratore Stefano Palazzi chiede la cancellazione della Vigor Lamezia dalla geografia del calcio, con tanto di dieci punti di penalizzazione nel campionato in cui verrà iscritta, dalla serie D in gù. Ma accade quello che nessuno si aspetta: la giustizia sportiva imputa alla Vigor Lamezia solo una responsabilità per omessa denuncia, in capo ad entrambi i tesserati coinvolti: Arpaia e Maglia, che dal canto loro escono con nove mesi di squalifica per ciascuno ed una multa di 40 e 30mila euro. Per la Vigor, solo 5 punti di penalizzazione in Lega Pro, con pena accessoria di 25mila euro di multa. E' la bomba che scoppia. Nessuno si aspettava una sentenza simile, che assume connotati più precisi leggendo le motivazioni: “Arpaia e Maglia, pur con le diverse posizioni dirigenziali, sono entrambi responsabili per omessa denuncia. Infatti non vi è prova che, prima del rifiuto opposto all’illecita proposta del Bellini, abbiano in un primo momento aderito al piano fraudolento e commesso atti diretti a realizzarlo. Peraltro, hanno omesso di denunciare agli organi competenti le illecite attività di cui, senza alcun dubbio, erano venuti a conoscenza.” In un altro passaggio delle motivazioni, addirittura, la corte afferma che “nessuna prova emerge neppure sulla consapevolezza dei dirigenti lametini dei tentativi del Bellini.” In sostanza, una sentenza che in secondo grado lascia spazio anche alla cancellazione dell'omessa denuncia. Qui va fatta un'utile annotazione: le motivazioni della sentenza vengono depositate in maniera contestuale alla lettura del dispositivo. Più avanti non accadrà così. Perchè c'è ancora il secondo grado di giudizio e non è finita. Ma c'è serenità: storicamente, nella giustizia sportiva, le sentenze di secondo grado tendono a mitigare quanto stabilito in precedenza. E' sempre accaduto così. Ecco perché il 29 agosto nessuno si aspetta cosa sta per accadere. La corte federale d'appello ribalta tutto: responsabilità diretta per la Vigor Lamezia, retrocessione, senza penalizzazione, in serie D. Mano pesante, non potrebbe essere diversamente, anche per Arpaia e Maglia: il primo viene squalificato per 5 anni e sei mesi con 80mila euro di multa, il secondo per 4 anni e sei mesi, con multa dello stesso importo. Vere e proprie mazzate. Al posto della Vigor, in Lega Pro va il Messina. E' da questo punto in poi che accadono le cose più inconcepibili. Intanto un ribaltamento così drastico della sentenza di primo grado lascia tutti perplessi. Se in primo grado i giudici, come scritto prima, addirittura arrivavano a mettere in dubbio che la società fosse cosciente della condotta fraudolenta di Bellini, com'è possibile che nelle stesse carte, invece, i giudici di secondo grado vedano addirittura la partecipazione ad un illecito sportivo? E' per questo motivo e anche per poter ricorrere all'ultimo grado di giustizia sportiva, che si attendono con ansia le motivazioni. Opportuno ricordare come in primo grado, le stesse siano state depositate contestualmente alla sentenza. Ma stavolta non succede. Di più: per prassi le motivazioni si depositano, abitualmente, entro dieci giorni. In questo caso, addirittura, ce ne vogliono undici. E quando arrivano aumentano le perplessità: secondo i giudici, Arpaia e Maglia prima pensano di fare la combine, poi si tirano indietro. A supporto di questa convinzione, citano uno stralcio degli atti della DDA, in cui viene riferito che Bellini, accompagnato da due lestofanti maltesi, si rechi a casa Arpaia. Qui il primo punto che non torna: perché nella continuazione di quello stralcio, che la corte invece omette, è la stessa DDA a riferire come, quell'incontro, non sia mai avvenuto, a causa dell'assenza dello stesso Arpaia, impegnato altrove. Ancora è opportuno segnalare come per la partita in questione, Vigor-Paganese, sia la stessa DDA a ventilare l'ipotesi di un'omessa denuncia, mentre tende ad ipotizzare un illecito sportivo per la partita Barletta-Vigor. La corte inverte tutto. Non trova prove di illecito sportivo con il Barletta, ma le trova per la Paganese. In sostanza la Vigor viene retrocessa in D perché il suo presidente in un primo momento pensa all'illecito, ma poi si tira indietro. Fa acqua da tutte le parti, è processo alle intenzioni, come minimo. Intanto però è tutto finito in caciara: i primi di settembre la Vigor, senza le motivazioni che ancora non sono arrivate, presenta ricorso al Collegio di Garanzia del Coni, chiedendo anche che queste famose motivazioni vengano depositate. Il Coni, da parte sua, respinge il ricorso proprio perché non ci sono le motivazioni, rimandando a quando le stesse verranno prodotte. Il cane che si morde la coda. Nel frattempo iniziano i campionati e diventa chiaro come, ormai, la sorte sia segnata. Succedono pasticci su pasticci. Appena arrivano le motivazioni, il Coni fissa l'udienza al 23 settembre. Ma quel giorno non può decidere, perché non è previsto contestualmente il ricorso anche di Arpaia, che deve essere ancora fissato. Quindi il Collegio si auto-rimanda a dopo il 9 ottobre, quando cioè scadono i termini per la presentazione dei controricorsi delle altre parti eventualmente interessate. Il Messina, per capirci. Ma dopo il 23 settembre cambia qualcosa: il ricorso della Vigor. Non più contro il Messina, ma in soprannumero, in uno qualunque dei tre gironi di Lega Pro. La Vigor intanto sta disputando il campionato di serie D, schierando i ragazzini della Beretti che, comprensibilmente, prendono vagonate di gol ovunque. Finalmente viene fissata la data per il ricorso al Collegio di Garanzia: il 27 ottobre si ritroveranno tutti a Roma, la Vigor, Arpaia e Maglia. Ancora non si sa, ma l'ultimo colpo di scena, che contribuirà a rendere definitivamente illogica tutta la vicenda, deve ancora accadere. Perchè quel giorno, al dibattimento, partecipa ovviamente anche la Procura del Coni, la Superprocura, come viene chiamata. Sono i magistrati del Collegio, incaricati di fornire una traccia a chi dovrà poi decidere, i massimi giudici sportivi. Un po' come accade in Cassazione, nel rito ordinario, con la Procura generale che rappresenta l'accusa. Ebbene, secondo la Procura del Coni, che anche qui rappresenta l'accusa, il ricorso di Vigor e Arpaia contro la retrocessione e la squalifica, merita di essere accolto per “motivazioni lacunose”. In pratica, nonostante i giudici del secondo grado si siano presi ben undici giorni di tempo per depositare le motivazioni, non sono riusciti a produrre un valido motivo per retrocedere la Vigor Lamezia. Bisogna quindi cancellare la decisione. Non solo. Durante il dibattimento con gli avvocati della Federcalcio, che legittimamente premevano per una conferma delle sentenze, la Procura arriva quasi al battibecco: succede quando i giudici del Coni smontano la prova che la presenza della macchina dei maltesi nei pressi dell’abitazione di Arpaia, fosse indice certo di un incontro con quest’ultimo. Su Maglia la Procura invece è del parere di confermare la squalifica, il perchè lo capiremo quando arriveranno anche le motivazioni del collegio. Si accende una fiammella di Lega Pro, che dura però solo poche ore: alla fine il Collegio di Garanzia decide di non decidere, considerando in parte inammissibile e in parte infondato il ricorso. Qualcuno dice che il Coni, al 27 ottobre e con i campionati iniziati da due mesi, non poteva stravolgere tutto. Ma tant'è. La Vigor, alla fine, rimane in serie D. Ma rimangono i dubbi e le perplessità su una vicenda processuale ai limiti del grottesco.
Guglielmo Mastroianni