Alla fine degli anni cinquanta, tra il 1956 ed il ’57, a Pizzo è accaduto un fatto davvero grave, che ancora oggi diverse persone, all’epoca ragazzini, rammentano. E sono proprio le loro testimonianze, con dovizie di particolari, che ci svelano i fatti accaduti.

Ebbene, in quegli anni le spiagge frequentate dai pizzitani per lo più erano quelle che lambiscono lo sperone di roccia tufacea su cui il paese alle sue origini fu fondato: Centofontane-Prangi, Seggiòla-Marina, Tavuli-Pisciallògghju. Oltre queste, rarissime volte (pasquette, ferragosto) si andava oltre. Ed è in questo scenario di assoluta solitudine che un gruppo di adolescenti, tra i 13 e i 17 anni, trovandosi a bighellonare sulla spiaggia di Piedigrotta, compirono le loro gesta distruttrici.

Il “branco” di ragazzini privilegiava la spiaggetta, isolata sì ma non distantissima dal centro, proprio perché qui poteva fare ogni sorta di giochi, divertimenti, scherzi, opportuni, leciti o non, che fossero. La grotta scavata nella roccia tufacea e decorata con mirabile arte dai Barone, Angelo, il padre, e Alfonso, il figlio, in un settantennio d’arco di tempo, era il luogo preferito per giocare a nascondino, guardie e ladri, rincorrersi e saltare tra le decine e decine di statue, bassorilievi con scene sacre, affreschi e quant’altro. Ho ascoltato che all’interno della grotta, più in là dell’altare maggiore, vi era un avvallamento nel suolo dove si raccoglieva l’acqua che dalle pareti grondava e qui i ragazzi si dissetavano e si rinfrescavano, togliendosi di dosso il fastidio della salsedine dell’acqua di mare sulla pelle. “Ovviamente”, l’interno della grotta, era anche questo il luogo dove si ritiravano per espletare i loro bisogni corporali.

 

Un giorno, al più “ardito” del gruppo, il capo che tutti temevano per la sua irascibilità, fu fatto uno sgarbo davvero grosso. Questi si era portato come merenda una pagnotta di pane con la mortadella e l’aveva accuratamente nascosta in una cavità della grotta. Per inciso, ai tempi trovare una pagnotta di pane con la mortadella, equivarrebbe oggi, forse, a trovare un barattolo di Nutella. O forse di più, non so!

 

Perciò, quando andò a prendere la pagnotta dove l’aveva nascosta, non trovandola, staccò il bastone in ferro di san Francesco di Paola, scolpito in rilievo, ed iniziò a sferrare colpi a destra e manca, colpendo i compagni e qualsiasi altra cosa gli capitasse nel suo raggio. E più teste di statue cadevano, più sembrava accanirsi! Qualcheduno riferisce che qualcun altro, trovando la cosa divertente, si unì a questi nel mozzare teste! Purtroppo, quando decise, o decisero, di smettere, decine furono le teste e le braccia delle statue finite a terra!

 

Le statue furono poi restaurate per interesse della famiglia Barone-Savelli negli anni tra il 1957 e il ’58. S’interesso anche il convento di San Francesco di Paola con le maestranze locali ed alcuni artisti, tra questi Gregorio Murmura.

 

Alla fine degli anni sessanta, tra il 1968 ed il ’69, un nipote dei Barone, Giorgio, di ritorno dal Canada dove si era trasferito e divenuto un apprezzabile scultore, restaurò ulteriormente le statue e scolpì due medaglioni raffiguranti Papa Giovanni XXIII e John Kennedy. Ma questa è storia conosciuta da tutti!