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La direzione nazionale del Pd si è chiusa senza che alla fine si decidesse nulla. Ancora una volta senza una linea da tenere rispetto alla crisi istituzionale relativa alla formazione del nuovo governo post elettorale. Non ritornerò sui motivi dell’incapacità del PD ad affrontare le criticità che lo accompagnano fin dalla sua formazione. “Un amalgama mal riuscito” disse D’Alema, prima di vendere la sua ostilità alla creazione del Partito Democratico, in cambio del Ministero degli Esteri nel secondo governo Prodi.
Il PD, infatti, è congegnato non per essere un partito, un collettivo fonte di idee, di soluzioni politiche e sociali ma, bensì, per essere mero strumento per dispensare poltrone, prebende e carriere ai suoi capi bastone e loro sodali. Tutto quello che ne consegue in positivo oppure in negativo, non è il frutto di una elaborazione ideale ma, semplicemente, di un fatto incidentale. Insomma, è un partito che potrebbe essere di destra o di sinistra a secondo della convenienza del leader di turno. Punto. Per tali motivi, Renzi, il quale si è dimesso formalmente ma non sostanzialmente, lo tiene sotto scacco e non mollerà facilmente la presa.
Le lezioni su come e cosa dovrebbe essere un leader politico dispensate a fiumi in questi giorni dagli editorialisti dei maggiori quotidiani nazionali italiani, rispetto ai metodi poco ortodossi utilizzati dall’ex premier, per Renzi non valgono nulla. L’ex sindaco di Firenze si muove al di fuori dagli schemi tradizionali e al di fuori dalle pippe sull’essere di destra o sull’essere di sinistra. D’altronde, il suo modello sul piano europeo è Macron. Un ibrido che alla fine ha deciso di correre da solo. Lo scontro al vertice, dunque, verte su questa interpretazione e su questa insidia. Martina e company lo hanno capito benissimo, ma difficilmente avranno i numeri per invertire la deriva renziana. Renzi, infatti, sa benissimo di che pasta sono fatti i parlamentari che lui stesso ha nominato e di che pasta sono fatti i componenti della direzione nazionale e dell’assemblea nazionale.
Ognuno di questi soggetti non è preoccupato affatto del destino della sinistra, della deriva sociale del Paese ma, solo ed esclusivamente, del proprio destino personale. Nel documento parlamentare approntato prima della direzione, di fatto pro Renzi e, dunque, contro Martina, abbiamo assistito ad acrobatiche piroette politiche, come quella della parlamentare Enza Bruno Bossio, tanto per fare qualche riferimento alle nostre latitudini, la quale, pur essendo espressione della componente Martina, ha firmato il documento di Renzi contro l’attuale segretario reggente. I ben informati sostengono che di questo cambio di linea non fosse informato neanche il presidente Oliverio. E sono in molti ad ipotizzare nell’universo democrat calabrese che il cambio di posizione della parlamentare cosentina, possa essere l’inizio di una presa di distanza del progetto di Mario Oliverio di ricandidarsi alle elezioni del 2019. Ma anche il sintomo del convincimento, tra le varie aree, di mantenere il regime renziano, in cambio della sopravvivenza dei capi bastone.
D’altronde, colui che si è presentato come il rottamatore dei “caminetti”, ha poi inventato la formula del “cerchio magico”, e per molti dirigenti, caminetto o cerchio magico, poca importa, l’importante è esserci per sopravvivere. Per il momento, dunque, la resa dei conti, se mai ci sarà, è solo rinviata. Potremmo dire usando una metafora calcistica che la partita è finita zero a zero palla al centro. Tutto ciò, utilizzando il metodo, questo si, ascrivibilealla tradizione della sinistra, di non decidere per non dividersi, di stare fermi, per non franare. Una storia vecchia di un secolo. Alla vigilia della prima guerra mondiale, infatti, nel partito socialista scoppiò un dura discussione sulla questione della partecipazione alla guerra. E anche i socialisti dell’epoca si divisero tra pacifisti e interventisti. Alla fine pur di non decidere vararono la formula del “ne’ aderire ne’ sabotare”. Un po’ come la formula scelta dal Pd per concludere la direzione nazionale ne’ con M5S ne’ con la destra. Tuttavia, l’inquilino del Quirinale, potrebbe rompere le uova nel paniere a progetti e progettini dei caporali Pd e del conducator di Rignano. Mattarella, lunedì ha convocato un rapido giro di consultazioni. A quanto pare le soluzioni sul tavolo potrebbero essere due: a) un governo di scopo di taglio tecnico accademico; b) un governo di scopo di taglio istituzionale.
Nel secondo caso si ipotizza la messa in campo del presidente della Camera, Fico. E proprio quest’ultima ipotesi toglie il sonno a molti, in particolare a Matteo Renzi. Potrà negare la fiducia ad un Governo del Presidente, di fatto a guida M5S?
Pasquale Motta