Il grande poeta definì l’ufficiale originario di Vibo Valentia «figura splendente di umanità» e gli dedicò una poesia inserita nella raccolta “Il porto sepolto” per la sua caduta nella Grande guerra
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La battaglia di Vittorio Veneto, iniziata il 24 ottobre 1918, mise fine, sul fronte italiano, alla Grande guerra, come ancora oggi viene ricordata quella che fu la Prima guerra mondiale. Il 4 novembre 1918 verrà poi firmato l’armistizio di Villa Giusti tra l’Italia e l’Impero austro-ungarico. Il tributo di sangue versato dai calabresi fu ingente. I nomi dei caduti rimasti lassù, sulle rive dell’Isonzo e del Piave, nelle trincee del Carso, sul San Michele, sulla Bainsizza, sono rimasti scolpiti sulle lastre di marmo dei monumenti eretti in ogni città e paese della regione per mantenere vivo il loro ricordo. La maggior parte dei caduti provenienti dalla Calabria apparteneva a gente comune, contadini e operai mandati al fronte e spesso usati come carne da cannone per gli inutili e sanguinosissimi attacchi frontali.
Emblematico e tragico esempio fu quello della Brigata Catanzaro, composta interamente da soldati meridionali, in maggioranza calabresi. Dopo essersi distinta nei combattimenti, perse quasi la metà degli effettivi negli attacchi frontali e quando i fanti si ribellarono, furono fucilati per ammutinamento in maniera sommaria. Gli ufficiali appartenevano, invece, ad ambienti della media borghesia cittadina, generalmente studenti che avevano come loro modello gli eroi del Risorgimento e consideravano la Prima guerra mondiale come la 4^ Guerra d’Indipendenza contro il nemico storico.
Fra di essi emerge con particolare rilievo la figura del capitano Nazareno Cremona, ufficiale nello stesso Reggimento in cui si era volontariamente arruolato uno dei principali poeti del ‘900: Giuseppe Ungaretti. Per il poeta, quella guerra rappresentò il momento decisivo di tutta la sua esistenza, non solo poetica ma anche spirituale e morale. Nazareno e il fratello Luigi erano figli di un noto professore del Liceo-Ginnasio di Monteleone, odierna Vibo Valentia: Francesco Cremona. La loro morte, quella del primo sul campo di battaglia nel 1917, quella del secondo dopo qualche mese, in seguito a grave malattia contratta al fronte, suscitò in città unanime commozione.
A Nazareno vennero assegnate tre medaglie d’argento al valor militare, Cadde sull’altopiano della Bainsizza il 27 agosto 1917 e Giuseppe Ungaretti dedicò al giovane ufficiale, che gli era molto caro, una poesia intitolata “Il Capitano” e inserita nella raccolta “Il porto sepolto”: «Il capitano era sereno. Era alto e mai non si chinava. Nessuno lo vide cadere. Nessuno l’udì rantolare. Riapparve adagiato in un solco, teneva le mani sul petto. Gli chiusi gli occhi. Parve di piume».
Questa raccolta di poesie è quella che più di ogni altra racconta, con una tensione morale unica, lo smarrimento esistenziale dell’uomo di fonte agli orrori di quel conflitto e il rapporto inscindibile che esiste tra la vita e la morte. In una nota, il poeta commentava: «Si chiamava Nazareno Cremona, era un giovane bellissimo, alto quasi due metri, faceva parte del mio reggimento e morì schiantato sul Carso... la figura splendente di umanità del capitano Cremona, laggiù nel silenzio di questo mio cuore, pesa come una pietra».
La Grande Guerra appare ormai lontana dalla memoria e anche i fatti e le figure dei protagonisti tendono a divenire evanescenti e il loro ricordo diventa sempre più sbiadito rischiando di cadere nell’oblio. Ma la polvere del tempo non ha reso opaca la “figura splendente di umanità del capitano”, come lo definì il poeta, e a Nazareno Cremona, uno dei pochi nomi sui quali dopo un secolo non è calata la coltre dell’oblio, è stata recentemente intitolata la villa comunale di Vibo Valentia, sua città d’origine.