Le interazioni sui social alle notizie che riguardano i maltrattamenti di genere sono sempre meno, sintomo di un messaggio aberrante: gli abusi sono diventati normalità, fanno quasi parte del display che scorriamo via veloce con un pollice
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Il lavoro mi porta a operare sul web e sui social quotidianamente. Mi passano davanti decine di notizie al giorno dalla nostra Calabria: politica, sanità, cronaca etc. Molte sono commentate, hanno interazioni, condivisioni, altre meno. La sanità è un tema sempre caldo, la politica tira, la cronaca nera e giudiziaria sono seguitissime, ma hanno poche interazioni, probabilmente per paura e omertà. Il dato che più mi sconcerta nel mare magnum degli avvenimenti giornalieri è, però, quello relativo alle violenze sulle donne: ogni giorno mi ritrovo davanti almeno una notizia di questo tipo che registra pochissime interazioni, nessuno sdegno, nessuna reazione, solo qualche sporadico e oscuro Mi piace.
Nella società dei like sta passando un messaggio aberrante: la violenza di genere è normale, fa quasi parte del display che scorriamo via veloce con un pollice, alla stregua di un piatto di calamari o un selfie in spiaggia. Mi ricorda un po' le vecchie immagini dei bimbi africani scheletrici "in voga" negli anni '80: all'inizio sconcertanti, poi sempre meno. Un po' di pena, compassione, senso di colpa, ma poi era meglio Platini e Il pranzo è servito, ché tanto da qui non possiamo farci niente.
Ma lì continuano a morire.
Sui maltrattamenti la questione è ben diversa: qui siamo a uno stadio successivo, uno step in un precipizio di indifferenza sconcertante.
Prendo a caso due episodi degli ultimi giorni, ma potrebbe farlo chiunque con qualsiasi pagina di informazione: "Violenta e minaccia di morte la ex, arrestato", "Picchiava la compagna anche davanti agli amici, arrestato". Le reazioni degli utenti sono differenti: il primo ha pochissime interazioni, il secondo qualcuna in più. Questa discordanza è dovuta al fatto che il soggetto del secondo articolo lo facesse davanti agli amici, come si evince dai commenti. Lo sdegno degli utenti non viene, quindi, dall’abuso in sé, ma dalla codardia dei protagonisti. Inquietante.
E ancora: penso a Maria Antonietta Rositani, la donna reggina data alle fiamme dal marito evaso dai domiciliari e libero di percorrere 500 chilometri per una vendetta pianificata da chissà quanto. Maria Antonietta è ancora ricoverata dal marzo scorso. In prima battuta la notizia fece registrare un'indignazione generale, poi, col passare del tempo, nonostante la vicenda fosse quasi un paradigma assoluto del problema, sempre meno coinvolgimento sulle notizie seguenti. Il clamore è passato, ma i segni di quella tragedia no: sono su di lei e, soprattutto, dentro di lei, per sempre.
Mi chiedo quante Maria Antonietta dovremo ancora conoscere, quanti schiaffi solo per puro caso non si siano trasformati in roghi e sfregi, quanti singhiozzi e pugni siano ingoiati negli appartamenti accanto, quanto sia bipolare la nostra società che vomita odio a tonnellate per un cane maltrattato, ma se ne fotte altamente di una donna privata della propria dignità e quasi uccisa.
Mi rispondo che di certi temi non se ne parla mai abbastanza e che i primi ad abusare di un essere umano siamo noi. Quotidianamente. Perché violenza non è solo un calcio sferrato o un rapporto sessuale forzato, ma l'incapacità di capire quanto sia pericolosa la comodità di voltare lo sguardo dall'altra parte o far scorrere una pagina col pollice. Meglio Cristiano Ronaldo e Maria De Filippi, ché tanto da qui non possiamo farci niente.
Ma lì continuano a morire. Dentro e fuori.