Tredici giorni prima della proclamazione dell’Unità d’Italia, sparì nel nulla, tra Palermo e Napoli, il piroscafo “Ercole”. La storia dell’unità d’Italia iniziò con un mistero. Fra i passeggeri c’erano alcuni ufficiali garibaldini guidati da Ippolito Nievo, che avevano il compito di portare a Torino la documentazione economica relativa alla spedizione militare dei Mille. In una cassa, da cui Nievo non si separava mai, erano contenuti soldi, ricevute, fatture, lettere e tutto quello che riguardava la gestione dell’ingente patrimonio garibaldino e di quello “trovato” nelle casse delle banche siciliane. Ma c’era chi aveva interesse, per opposte ragioni, ad impedire che quella cassa arrivasse a Torino, dove era in atto uno scontro tra due fazioni: da un lato i cavouriani che intendevano gettare discredito sulla spedizione garibaldina, tentando di dimostrare una gestione truffaldina dei fondi; dall’altro lato la sinistra , che sosteneva il contrario. Ma, soprattutto, tutti avevano interesse a tenere nascosto un finanziamento di 10mila piastre turche ( paragonabili a circa 15milioni di euro attuali) che era arrivato a Garibaldi dalla massoneria inglese. La sparizione di quei documenti faceva quindi comodo a tutti. Quel rendiconto non doveva vedere la luce perché avrebbe rivelato la pesante ingerenza del governo di Londra e dei circoli massonici inglesi nella caduta del Regno delle Due Sicilie. Quei soldi, in piastre d’oro turche, erano serviti per favorire l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali borbonici. Una inspiegabile inefficienza che aveva paralizzato l’esercito e, soprattutto, la marina borbonica.

 

La reazione militare duo siciliana fu infatti tardiva, lacunosa, caratterizza da molti tradimenti, senza i quali il più grande stato italiano dell’epoca, che vantava la terza flotta europea di quel tempo, difficilmente sarebbe caduto sotto l’urto di mille popolani male armati e peggio addestrati. La capitolazione di Palermo, di dice, avvenne con l’oro dato al generale Lanza. Guarda caso, lo sbarco avvenne a Marsala, feudo britannico nel cui porto erano alla fonda due navi da guerra di Sua Maestà. La mattina del 4 marzo 1861, l’Ercole lasciava quindi il porto di Palermo con destinazione Napoli. Nievo, seguito dai suoi, era salito a bordo senza ascoltare i consigli del console Hennequin, che gli aveva stranamente suggerito di partire con l’”Elettrico”, vapore che avrebbe lasciato gli ormeggi tre giorni dopo. La nave, appartenente alla compagnia Calabro-Sicula, partì quindi alle ore 13 con 18 uomini di equipaggio, napoletani e calabresi (forse qualcuno anche di Pizzo), al comando del capitano Michele Mancino, e 40-60 passeggeri. Dietro l’Ercole, tre ore dopo, partì il Pompei, un altro battello che viaggiava sulla stessa rotta, mentre, proveniente dallo stretto di Messina  e diretto a Napoli, il vascello militare inglese “Exmouth” si avvicinava alla rotta dell’Ercole, ma quando lo incrociò questo era già un relitto. Nella confusione che regnava in quel periodo, nessuno si accorse del mancato arrivo dell’Ercole. Undici giorni dopo, da Napoli partì il Generoso a perlustrare l’ampio tratto di mare tra le Eolie e Capri. Nievo, le casse con i soldi e i libri contabili, tutto scomparso.

Le ipotesi sulla scomparsa

Le ipotesi sulla scomparsa erano le più incredibili: si passava dallo scoppio delle caldaie a sud di Capri al dirottamento volontario in Albania, dal sabotaggio alla cattura da parte di pirati arabi. Qualche mese dopo vennero pubblicati i risultati di tute le inchieste. 1) relazione del vapore Pompei, testimone: l’Ercole risulta affondato il 5 marzo davanti a Capri; 2) Ministero della Guerra: affondato per incendio a bordo, a mezza via; 3) stampa di Sicilia: affondato la sera del 4 marzo per capovolgimento; 4) stampa napoletana: perduto nei mari d’Ischia la mattina del 5, cadaveri gettati a riva; 5) dirottamento o sabotaggio. Ma ci fu anche la relazione del capitano Paynter, del vascello inglese Exmouth, testimone: avvistato il relitto a 140-150 miglia da Palermo, sulle coste della Calabria. Contrariamente alle altre relazioni, che davano l’Ercole affondato vicino a Capri, il comandante della nave inglese, ultima ad aver avvistato il vapore che trasportava Nievo e i suoi documenti, non parlava di affondamento ed afferma di aver avvistato il relitto sulle coste calabresi. Difficile dubitare che potesse aver sbagliato, in quanto gli inglesi registrarono tutto ciò che accadde in quell’avventura e inoltre l’Ercole era ben conosciuto dai britannici, come tutte le navi che avevano preso parte alla campagna del 1860. Ma c’è anche da supporre che la relazione del capitano Paynter potesse in qualche modo servire a depistare le indagini sulla fine dell’Ercole: anche gli inglesi volevano nascondere una verità che li avrebbe mesi in difficoltà. Il naufragio dell’Ercole restò avvolto nel mistero. La nave, gli 80 uomini, le 232 tonnellate di merce e soprattutto le casse con le piastre e i preziosi libri contabili di Nievo erano svaniti senza lasciare una traccia, un relitto. Dove? Non si saprà mai. Qualche decennio fa, il nipote di Nievo, Stanislao, addirittura è sceso con un batiscafo sui fondali di Capri a cercare risposte, ma senza successo. Forse bisognava cercare più a sud. Se veramente il naufragio avvenne sulle coste calabresi, l’Ercole sarebbe la prima “nave dei veleni” (naturalmente veleni politici) inabissatasi nel mare di Calabria.

 

Giuseppe Addesi