(Da "Zenit" - 11.07.2016) - «La ‘ndrangheta è l’antievangelo», è il titolo del libro pubblicato da Tau Editrice che raccoglie un secolo di documenti delle Chiese di Calabria contro ogni forma di criminalità orchestrata e perpetrata dalle mafie. In questi documenti collettivi, con testi a stampa, emerge l’impegno della Conferenza Episcopale Calabra di testimoniare il Vangelo contro ogni forma di religiosità che lo tradisca. I vescovi calabresi, troppo spesso accusati di connivenza, sudditanza assoluta, sospettoso silenzio, rispetto ai tanti, troppi, episodi criminali registrati, testimoniano così l’amore e l’attenzione rivolta a ogni creatura che necessita di essere ricondotta nella Parola di Dio.


Il testo che ha la prefazione del Presidente della Conferenza Episcopale calabra, mons. Vincenzo Bertolone, riporta in appendice il recente intervento di Papa Francesco del 21 giugno 2014 a Cassano Jonio, dove il Pontefice ha pronunciato la parola “scomunica” contro ogni forma di criminalità che attenta alla vita,i discorsi pronunciati da Giovanni Paolo II nel corso della sua visita pastorale in Calabria dell’ottobre 1984, visti come “annuncio di speranza”, e la visita di Benedetto XVI il 9 ottobre 2011 con “l’invito alla fede dei calabresi come antidoto alla criminalità organizzata”. A don Giovanni Scarpino, uno dei curatori dell’opera, insieme ai presbiteri calabresi Filippo Curatola ed Enzo Gabrieli, abbiamo formulato alcune domande.


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È un’attenzione solerte, una forte preoccupazione quella che i vescovi calabresi nutrono e manifestano per la terra che sono chiamati a guidare. In questo libro avete raccontato la battaglia contro la criminalità che i Pastori della Chiesa calabra portano avanti da un secolo. Perché la scelta di raccogliere tali orientamenti pastorali? Con tale scritto volete dimostrare che nessun silenzio sussiste attorno a certi fenomeni, quali ad esempio quello mafioso-‘ndranghetista?


Si tratta di un secolo di documenti, di un percorso comune delle Chiese di Calabria nell’impegno di testimoniare il Vangelo dinanzi “a luci e ombre”. Abbiamo fortemente evidenziato come sono ricorrenti, nella stampa e nella pubblicistica, le critiche alla Chiesa cattolica e ai suoi Pastori che, si dice, se non proprio conniventi, si mostrerebbero almeno silenti di fronte ai tanti, troppi, episodi criminali orchestrati e perpetrati dalle mafie, che nella nostra Regione assumono per triste tradizione il nome di ‘ndrangheta. Dinanzi alle sfide che emergono nel nuovo contesto socio-culturale, i Pastori delle Chiese che sono in Calabria, unitamente ai loro fedeli, hanno voluto farsi voce facendo riecheggiare l’indimenticabile grido contro la mafia che il grande san Giovanni Paolo II lanciò ad Agrigento il 9 maggio del 1993: “Convertitevi, verrà il giudizio di Dio”.Non fu solo un grido, non fu solo un appello, ma l’indirizzo per un impegno ripreso anche dai futuri Pontefici, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco.


Il volume si apre con la Lettera Pastorale per la Quaresima del 1916 dove si iniziarono a porre le fondamenta per una purificazione della pietà popolare. Già allora si individuavano abusi e debolezze. Nello specifico quale marciume venne riscontrato? E rispetto a tali debolezze, qual è stata l’azione pastorale suggerita dai Vescovi?


Con chiarezza nel documento del 1916 i Vescovi indicano che la vera “pietà” non consiste in manifestazioni religiose esterne, ma nell’esercizio delle virtù cristiane. È riproposta con fermezza ai fedeli la via Eucaristica per tornare a Cristo “centro di tutta la religione”. Via pratica ed allo stesso tempo semplice. “L’ora di adorazione come risposta al vuoto formalismo religioso” scrivono, ribadendone la necessità in tutte le parrocchie. Quando i Vescovi parlano della nostra regione, usano più volte in questo documento. Oltre alla formazione permanente, i preti erano invitati paternamente a vivere il ministero rimettendo al centro il culto di Cristo, per essere pienamente apostoli e testimoni appassionati, “capaci di scuotere il popolo”. Da ricordare, in merito , il pensiero di don Italo Calabrò, sacerdote della nostra terra: “Non basta la repressione del fenomeno mafioso, è necessaria una via non violenta dello Stato contro la Mafia capace di creare condizioni di vita in cui i deboli e gli oppressi non siano tali, in cui le leggi siano rispettate, dove la magistratura, gli enti locali, la scuola funzionino. Il Vangelo è questo, non le interpretazioni in termini sdolcinati e sentimentalistici che se ne danno. È amore forte, che redime disarmando, che redime illuminando, che redime offrendo alternative”.


Richiami, inviti, esortazioni, condanne dei Pastori sono racchiusi nei diversi documenti pubblicati nel corso degli anni. Quale posizione ha assunto la Conferenza Episcopale calabra?


Il tentativo dei Vescovi di Calabria è di “ridare un’anima al popolo di Dio”. Perché nessuno in Calabria si faccia “rubare la speranza”. Un camminare segnato da argomentazioni, interrogativi, esortazioni, input protesi a leggere e rileggere il contesto religioso, storico, culturale e sociale di una Chiesa del Sud mirando: all’accoglienza cordiale del diverso, al sincero ascolto dell’altro e alla fattiva collaborazione a servizio degli ultimi. In questi documenti collettivi, con testi a stampa, emerge l’impegno della Conferenza Episcopale Calabra di purificare la pietà popolare ed ogni espressione di fede contro il fenomeno mafioso-‘ndranghetista che costantemente cerca di infiltrarsi per ottenere consensi e riconoscimenti pubblici. È chiaro il grido dei Pastori a far emergere chiaramente come l’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che offesa alla religione cristiana.


Già nel 1975 l’episcopato calabro si pronunciava collettivamente definendo la criminalità “disonorante piaga della società, segno di arretratezza socio-economica e culturale, di involuzione morale e civica”. Quale vera azione di contrasto alla cultura criminale?


Attualmente la Calabria, a confronto di altre regioni dell’Italia, non si colloca in un posto elevato della scala delle ricchezze di ordine materiale, dovute: alla scarsità delle risorse economiche, al ripetersi di calamità naturali, alle spoliazioni, agli stati cronici di abbandono, all’incertezza politica e alla criminalità. La vera azione di contrasto alla cultura criminale, che attraversa gli ambiti del sociale e della politica, deve trovare la Chiesa in prima linea, compatta. Non bastano le voci isolate che rischiano di occupare solo per pochi attimi le pagine della cronaca. Bisogna rilanciare una cultura della legalità, integrata con gli insegnamenti e la dottrina sociale della Chiesa, che trovi nella fermezza e nella chiarezza del Vangelo lo slancio per superare le tentazioni della connivenza ma anche il percorso per la conversione del cuore e il cambiamento della vita. Alle Chiese che sono in Calabria è richiesta sempre più una scelta profetica nell’azione pastorale che metta in luce quello che non è assolutamente conciliabile con la cultura mafiosa che distrugge questa terra.


Possiamo definire il libro come una piccola antologia per aiutare l’uomo a ricercare il senso di giustizia e di responsabilità?


Gli accadimenti negativi degli scorsi anni che hanno colpito la diocesi di Cassano all’Jonio, l’uccisione del piccolo Nicola Campolongo e don Lazzaro Longobardi, denotano, analizzando anche le vicende di criminalità in questa terra di Calabria, che i mali dell’uomo non sono fuori dell’uomo, ma sono nell’uomo, poiché è l’uomo che quotidianamente li costruisce. Dall’uomo bisogna partire se si vuole risollevare la sua attuale condizione, ma partire dall’uomo significa essenzialmente formazione, educazione, istruzione, apprendimento, acquisizione, crescita sapienziale ed intellettuale, ma anche morale e spirituale. Dal momento in cui l’essere umano entra nell’età del discernimento, è da quel momento che bisogna avviarlo al più alto senso di giustizia e di responsabilità. Lui è strumento della provvidenza di Dio sulla terra, lui è a servizio di Dio per il bene nel mondo, lui è costituito da Dio servo del bene per gli altri e per se stesso.


Quale l’impegno nel comunicare la verità?


L’interrogativo che si fa ad ogni epoca più pressante e a maggior ragione nell’era dei nuovi linguaggi della comunicazione, è appunto “come” e “cosa” comunicare. I Vescovi di Calabria, condannando ogni forma di immoralità e di criminalità che macchiano il presente e il futuro di ogni uomo e donna, si appellano al buon senso anche degli operatori della comunicazione sociale, chiamati a scrivere ed a raccontare la verità di ogni fatto e avvenimento nel rispetto della centralità della persona e del bene comune. Spesso, anche nella stampa calabrese, non sempre traspare la verità delle notizie, omettendo anche il bene e il “ruolo di supplenza” che da sempre la Chiesa svolge venendo incontro alle indigenze del territorio. È bene per tutti ricordare alcuni punti della Carta dei doveri del giornalista: “Il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Come scriveva il Cardinale Martini, c’è sete delle “parole di Gesù che smascherano i tranelli della comunicazione interpersonale e le ipocrisie e i blocchi comunicativi nei rapporti tra gruppi”. Ma le piccole ombre che qua e là si ravvisano non possono e non devono offuscare certamente la preziosità dei valori che possiedono e l’urgenza di un’alta spiritualità che li deve avvolgere. Certo saremo tutti protesi a renderci migliori nella comprensione della Chiesa, mistero di comunione e di amore, se saremo in grado di interiorizzare che lo Spirito soffia e tocca in modo segreto e misterioso non solo tutta la Chiesa, ma tutta l’umanità. I Vescovi di Calabria riaffermano che occorre una comunicazione della fede che arrivi a toccare il vissuto di ogni uomo, recuperando una caratteristica primordiale della Chiesa, il suo essere in perenne cammino nell’annunzio del Vangelo. Un cammino possibile, di un’urgenza intramontabile, in obbedienza all’imperativo dello stesso Maestro e Signore della storia: “Andate e predicate il Vangelo”.