Uno storico Consiglio comunale di Santa Maria del Cedro ha ratificato la restituzione alla comunità delle aree demaniali occupate irregolarmente. Dovena essere un inno alla legalità, ma le sedie riservate alle istituzioni sono rimaste vuote. A chi conviene che le cose non cambino mai?
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15 ottobre 2018, Casa di Laos, Santa Maria del Cedro. Alle ore 18 in punto la sala congressi è stracolma, tanto che molte persone devono rimanere in piedi sulle scale, qualcuno è costretto ad assistere fuori. Di lì a poco si sarebbe svolto un consiglio comunale storico, non solo per la città, ma per l'intero territorio. Ma la politica, stavolta, c'entra davvero poco. La minoranza capeggiata da Andrea Napolitano lo sa ed è lì per onorare un evento memorabile, lo sanno i cittadini che, al di là delle simpatie e degli ideali partitici, sono venuti ad assistere a un pezzo di storia del Tirreno cosentino, a un atto di coraggio e caparbietà che difficilmente verrà dimenticato.
Ufficialmente si tratta di un consiglio comunale aperto, il cui principale ordine del giorno è l'acquisizione di un'area demaniale di circa 40mila mq da parte del Comune. Importante sì, ma niente di straordinario, si dirà. Succede ovunque, in ogni angolo d'Italia.
Ma qui siamo in Calabria, precisamente nella Riviera dei Cedri, in un angolo di paradiso troppo spesso dimenticato dal mondo, noto più per i suoi boss e per la politica corrotta che per le sue meraviglie, e niente è come sembra. Mai, in nessuna occasione. Neppure questa.
Il burbero primo cittadino, l'avvocato Ugo Vetere, è visibilmente emozionato. Indossa l'abito delle grandi occasioni e la sua ostentata sicurezza viene ripetutamente tradita dalla voce tremante e dagli occhi lucidi. Non è lì per caso, non è stato facile arrivarci e quelle persone accorse numerose non sono più semplici cittadini. Da quel momento non lo saranno più.
Al centro della sala, occupano la prima e la seconda fila delle sedie gialle e vuote, con su una scritta: "Riservato". Ugo Vetere le fissa di continuo, prima dell'inizio della cerimonia. È nervoso, o forse solo rassegnato. Le fissa perché perché quei posti vuoti possono voler dire qualunque cosa, ma nessuna di questa potrebbe essere una buona notizia. Gli organizzatori le hanno riservate alle istituzioni, per lo più uomini delle forze dell'ordine e della magistratura. Ma anche sindaci, quelli dei paesi limitrofi, quelli dei paesi un po' più lontani. Ma la politica qui non è mai solo politica.
Quelle sedie resteranno vuote fino a quando un unico rappresentante delle istituzioni, il consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea, non ne occuperà una in rappresentanza della Regione Calabria e del presidente Mario Oliverio, entrambi legati al sindaco di Santa Maria del Cedro da una forte e lunga amicizia. Poi, il nulla, fatta eccezione per i carabinieri delle locali stazioni e la polizia che però rimangono in fondo alla sala.
Tutti gli altri invitati non sono venuti. Qualcuno per evitare possibili strumentalizzazioni, come certamente è successo nel caso dei procuratori Pierpaolo Bruni e Nicola Gratteri, altri forse non sono venuti semplicemente per paura, altri altri ancora per prendere pubblicamente le distanze dal sindaco "pazzo", proprio nei giorni in cui la vicenda di Mimmo Lucano ci insegna che questa terra non è ancora pronta a ribellarsi, figuriamoci ai ribelli.
Quando il sindaco prende il microfono diventa tutto più chiaro. È un fiume in piena, esterna quella rabbia covata per mesi, forse per anni, per una solitudine umana e professionale che ferisce, inasprita forse da quelle assenze ingiustificate. Quei terreni sono stati sottratti con la "forza" ad alcune strutture ricettive del posto, che per anni avevano illecitamente occupato un'area di proprietà dello Stato. Per una di queste l'occupazione si era prolungata per 43 anni, senza che nessuno, per tutto questo tempo, si fosse preoccupato di ripristinare la normalità. Una di queste, alle rimostranze del sindaco ha risposto inoltrando alla magistratura ben 48 ricorsi. Respinti tutti e 48.
Ma la diatriba giudiziaria sull'occupazione demaniale abusiva ha portato alla luce anche altro. Ad alcuni proprietari di case era stato concesso con regolare autorizzazione di costruire sul demanio, mentre numerosi titolari delle strutture appropriatesi del suolo pubblico da anni non pagavano le tasse relative ad acqua, fognature e rifiuti. E mai nessuno se n'era lamentato. Quasi come se nessuno se ne fosse mai accorto. Ah già, siamo in Calabria, e qui niente è come sembra.
Ugo Vetere però vede e si accorge di tutto e intuisce che qualcosa non torna. Si appella alla magistratura, si appella ad essa quasi ogni giorno, scrive di continuo per sollecitare una procura a volte lenta, rende tutto pubblico, ogni atto, ogni vittoria per quasi tre anni la vicenda giudiziaria viene raccontata a puntate sulle pagine social. In perfetta solitudine, appunto. Tutti, attorno, fanno finta di niente.
All'inizio anche la procura sembra non recepire. Ma Vetere è un "pazzo" e quando capisce che senza clamore non ci sarà attenzione, minaccia più volte di riconsegnare la fascia, lo fa anche in occasione della visita a Diamante dell'allora ministro dell'Interno Marco Minniti, che proprio a seguito delle proteste del sindaco decide di disertare l'evento, benché le motivazioni ufficiali siano altre.
La battaglia di Ugo Vetere non è più solo la sua battaglia. Alla procura di Paola arriva Pierpaolo Bruni, non uno qualsiasi e lentamente le cose vanno nel verso giusto. Il clamore divide sempre l'opinione pubblica in due e se da un lato c'è chi cerca di screditarlo credendolo sempre più pazzo, dall'altro cittadini, associazioni e attivisti del territorio capiscono che si tratta di una sfida improntata sulla legalità e il rispetto delle regole, che la politica stavolta non c'entra, e che stare dalla sua parte diviene quasi un dovere morale. Mentre gli uomini delle istituzioni stanno ancora a guardare. Mentre la battaglia diventa rischiosa e rovente, mentre si smonta pezzo per pezzo un mosaico di illeciti e strafottenza.
Nell'aria c'è una strana sensazione. Ma non è tanto diversa da quella che si avverte in tante altre occasioni. Vetere lancia invettive e accuse, non solo ai sindaci, dice che ha avvertito un clima di ostilità in diversi uffici e uomini che rappresentano lo Stato, fatta eccezione per la procura, che diventa il suo punto di forza. Vetere dice pure che qualcuno avrebbe provato a mettergli i bastoni tra le ruote. Ma tanto è pazzo e nessuno gli crede.
Poi arriva la sentenza che restituisce verità e beni ai cittadini, si fa una grande festa perché per una volta ha trionfato la giustizia, qui, nella terra di nessuno, i cittadini rompono il muro della paura e dell'omertà e si presentano a centinaia.
Quelle sedie riservate, invece, rimangono vuote, macchiate da quelle assenze che pesano come un macigno e che ti fanno capire come stanno davvero le cose, che chi dovrebbe esserci non c'è. Ti fanno capire che le cose qui non sono mai cambiate perché nessuno in fondo ha voluto cambiarle e per una volta le risposte sono più delle domande, tranne che per una: a chi conviene che le cose rimangano così?